L’umanità del nostro tempo gode di un particolare privilegio, ha molteplici opportunità di confronto che superano le distanze territoriali e le differenze linguistiche e permettono di incontrare ed ascoltare riflessioni ed esperienze da ogni angolo del pianeta.

Una ricchezza straordinaria che potenzialmente potrebbe aprire i popoli alla scoperta delle reciproche culture beneficiando del bagaglio di ciascuno. Eppure troppo spesso l’epilogo è differente perché, al contrario, si insinua la ricerca di sfruttamento delle risorse altrui per nutrire la propria brama di potere o, ancora, perché si caldeggia l’estinzione di ogni differenza nel tentativo di omologare l’altro secondo i propri costumi, fino ad arrivare alla guerra per eliminarlo quando viene considerato rivale!

Anziché partecipare al dono relazionale si cerca di possedere finendo nella trappola propria di chi lavora per consumare. Molti scivolano nell’illusione di un’onnipotenza che vorrebbe fare giocare su più registri il proprio quotidiano e così cambiano velocemente amicizie, luoghi, legami e occupazioni avendo la percezione di un dominio smisurato su tutto e tutti.

Una simile postura esistenziale, ben presto, rivela i suoi limiti perché l’appagamento iniziale, dovuto al senso di controllo esercitato sui molteplici mondi, cede il posto alla insoddisfazione perché i ruoli formali così come gli averi smisurati privano di relazione autentica e di reale nutrimento.

L’assumere molti volti in base alla ricerca di appagamento momentaneo, infatti, porta alla frammentazione interiore e strappa il gusto del vivere. Basta osservare, ad esempio, come i bambini che vengono saturati di giocattoli ad ogni festa, finiscono con il mostrare un cospicuo disorientamento fino a diventare sempre più aggressivi per l’incapacità della scelta, perché sceglierne uno equivarrebbe a “perdere” tutti gli altri. Anche molti adulti, in realtà, continuano a vivere questo disagio e l’assenza di desiderio che affligge la nostra società è uno dei sintomi di un simile processo.

La maturità del vivere, piuttosto, orienta alla essenzialità, perché la ricerca di continui appetiti rende ostaggi della pubblicità più seduttiva. Molti, dunque, rimangono schiacciati dalle mode di turno consegnando il gusto ed il valore del proprio esserci a quanto propinato da pochi influencer che, a loro volta, organizzano le proprie giornate in funzione del migliore offerente!

Il Vangelo di questa seconda domenica di Avvento (Mt 3, 1 -12) rimanda ad un cambiamento di prospettiva che va dalla mentalità autocentrata alla storia dove Dio si rivela mostrando la sua via.

Il cammino cristiano verso il Natale, dunque, non è un preparare vie caricandosi di buoni propositi ma equivale a ritornare all’ascolto dell’essenziale per riconoscere la via del Signore.

Le montagne da spianare sono quelle interiori legate al vorticoso ragionare su se stessi. Anche molte pratiche meditative così come i percorsi clinici possono essere confusi con la via che conduce al Cielo; piuttosto sono percorsi volti a trovare una pacificazione interiore e, se non bene accompagnati, possono contribuire a nutrire il tratto narcisistico di molti individui ego-centrati.

Nella prospettiva cristiana, invece, è il Signore che viene e l’umano deve imparare ad affidarsi e, quindi, a disporsi all’essenzialità che cerca in Dio la risposta alla propria esistenza.

La figura del Battista denuncia i farisei che si accostano rimanendo nel compromesso del doppio registro, nel vano tentativo di accattivarsi Dio pur mantenendo il proprio prestigio e potere. Li paragona alle vipere che tengono dentro il veleno che conduce alla morte, così è di molti uomini che solo apparentemente cercano la via della vita.

Il rimando, ancora, è alla veste sobria dell’umano a cui viene data una seconda possibilità, come nel racconto delle origini dopo il peccato. Consumare la vita per procurarsi una veste è la grande menzogna che continua a reggere il mondo, invece il viaggio che conduce al natale del Signore  richiede una graduale spoliazione per vivere pienamente di fiducia in Lui.

Rifiutare la finzione scenica è la grande sfida dei nostri giorni: se l’apparenza ammalia schiavizzando chi cede alle sue trame, la  bellezza non manipola perché parla il linguaggio dell’amore e così facendo rende liberi. Cammina verso la meta chi impara a contemplare andando oltre le apparenze.