Ho sempre pensato che la gratitudine sia il segno distintivo della libertà e ciò perché è grato chi sa perdonare rimanendo in una prospettiva di amicizia.

Chi coltiva inimicizie, infatti, non è libero ma porta un cuore rancoroso incapace di gioire per il bene altrui.

La libertà, dunque, abbisogna della spoliazione da se stessi per abbandonare la postura superba di chi vorrebbe dominare l’altro o impossessarsene per i propri fini. Altrimenti non sarebbero possibili i legami, il dono gratuito, l’interessarsi liberamente per il bene altrui, la comprensione per la fragilità di chi ci sta accanto.

La festa di Pentecoste che celebriamo oggi esprime il senso di questa postura libera da ogni gravame che, diversamente, vorrebbe ridurre l’esistenza all’osservanza di regole per apparire giusti o all’espressione illimitata secondo il proprio piacimento e senza rispetto dell’altro. Simile pretesa è espressa simbolicamente nella torre di Babele costruita per ergersi fino al Cielo per trovare grandezza e potere e così fare a meno di Dio. Un’ascesa che isola dagli altri eliminando ogni tipo di relazione che mantenga umani, pur di arrivare a raggiungere i propri scopi.

Trovo un’immagine analoga, ai nostri giorni, quando si vive in condomini da migliaia di posti rimanendo anonimi e diffidenti verso i vicini di casa, totalmente trincerati nel proprio lavoro e nel bisogno di affermarsi!

Paolo nella lettera ai Galati (5, 23) afferma che “il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro questo cose non c’è Legge”.

Parla del superamento dell’osservanza della Legge della fede ebraica che, di fatto, non ottiene nessuna giustificazione perché equivarrebbe a meritare, attraverso le proprie opere, la benevolenza di Dio. Simile atteggiamento, piuttosto, procura rigore e rigidità religiosa che ha come frutto la pretesa di sentirsi orgogliosamente impeccabili e, dunque, in diritto di giudicare tutto e tutti.

Questo tipo di Legge non ottiene alcuna maturazione del cuore e spegne ogni tipo di gratitudine imponendo gravami agli altri come quando i figli, divenuti adulti, continuano a rivendicare diritti verso i propri genitori.

È la logica che ancora oggi porta alle guerre tra i popoli, dove il sentire per la sofferenza altrui viene anestetizzato dalla brama di affermazione del proprio potere.

Pentecoste ribalta simile disumanizzante prospettiva e apre la via verso una nuova umanità. La Legge, di fatto, non abilita alla vita nuova così come accade per un’organizzazione politica centrata sulla repressione o sulla meritocrazia. Sapere ciò che è giusto non è sufficiente, è l’amore gratuito del Cielo a guarire interiormente motivando un cambiamento dell’orizzonte di vita.

Oggi si interviene rimanendo sui sintomi come nel caso delle misure repressive nei confronti dei minori che si organizzano nelle baby gang ma non si investe sulla prevenzione, prendendosi cura dei minori prima che entrino nel circuito penale.

Per portare frutti di cambiamento è necessaria una prospettiva differente e nella esperienza di fede è basilare scoprire lo sguardo del misericordioso del Padre così come viene rivelato da Gesù.

La vita spirituale, che pare non avere più cittadinanza in questo mondo, abbisogna di questo legame per non inaridirsi. L’escalation di violenza dei nostri giorni denuncia l’enorme povertà di vita interiore a cui contribuisce l’essere totalmente consegnati ai dispositivi e quindi ad una vita di superficie, esteticamente intesa, che non lascia spazio all’ascolto e alla riflessione profonda.

Accogliere l’amore del Cielo è sempre il punto di partenza per iniziare a muoversi, altrimenti le opere personali rimarrebbero centrate solo su se stessi. La Parola ricorda che la nostra vita rimane feconda portando frutti quando continua ad accogliere così come il tralcio che resta legato alla vite.

In questi giorni gustiamo i frutti del gelso che si erge nella fattoria comunitaria di Danisinni e siamo ben consapevoli che non sono solo il prodotto della cura di zio Gianni ma, insieme a lui, c’è un terreno fertile, una stagione che procura il sole e le piogge necessari, un contesto geofisico che protegge la pianta dai venti impetuosi. Così è l’azione dello Spirito, frutto della sinergia tra il Cielo e la terra, dove ciascuno si apre ad un’esperienza comunionale in cui non ci è dato di vivere per noi stessi.

La parrocchia di Danisinni che oggi rinnova la sua chiamata a testimoniare la luce del Maestro, è il frutto di secoli di storia in cui tanti hanno accolto il dono di Dio e si sono spesi, umilmente, in una quotidianità priva di apparenze ma consapevoli di custodire la bellezza del Cielo.

Apprendiamo da questa festa di Pentecoste, allora, che la vita non è tanto un ascendere ma un umile riconoscere il chinarsi del Cielo in terra, anche nei meandri più oscuri, ed è lì che a ciascuno è dato di meravigliarsi sentendosi chiamato figlio, figlia amata.