Come celebrare il tempo di Avvento in questi giorni di smarrimento segnati dalla pandemia e da eventi dolorosi quali i morti nella solitudine, la precarietà economica, il senso di frustrazione per il fallimento di un lavoro o di una relazione di coppia? Come preparare la via al Signore che viene?

Un giro di boa viene proposto al cristiano, è un cambio di prospettiva ad essere indicato come via da percorrere in questo tempo in cui ci è dato di tornare all’essenziale per riconoscere la via del Signore ossia le sue impronte nella storia che ci circonda.

Quando partiamo da noi stessi, pretendiamo di costruire delle vie rette dalle nostre comprensioni, ad esempio da un pensiero che ha dei criteri che appartengono alla logica del benessere per avere felicità o dal giustizialismo verso chi sbaglia. Oscilliamo tra un pensiero affidato al criterio del piacere e un pensiero dottrinale che pretende di fare delle nozioni una conoscenza di vita ma che, in realtà, manca della relazione e pertanto rischia di sfociare nella ideologia, anche in quella religiosa.

Ad essere messa in discussione è la rassicurazione dettata dalla prosperità e ci si accorge che siamo precari in questo mondo, in cammino verso la meta e per questo capaci di dare senso alla storia.

È importante riflettere sul punto di partenza, perché da quell’inizio ci si spingerà oltre. Se l’umanità rimane convinta di essere il frutto dell’evoluzione della specie, allora cercherà di essere sempre più perfetta e capace di autodeterminazione, ma se scopre che il principio è un altro allora avremo bisogno di rivedere le nostre posizioni esistenziali e di riconsiderare il senso di ogni cosa.

La società contemporanea pare seguire il modello perfezionistico, sempre più organizzata secondo il criterio tecnocratico che trova nella macchina il parametro del genere umano: “a misura d’uomo” equivale a dire “accessibile agli automezzi, a portata di click, con il minimo dispendio di energie o, ancora, a velocità multitasking”. In questo modo il desiderio viene ridotto a spinta mortifera propria dell’accomodamento in cui l’individuo è al centro di tutto e in continuo accumulo di cose o di persone codificate, come fossero souvenir da collezione.

E se scoprissimo, invece, che l’essere umano ha bisogno di una misura diversa, non omologabile, e rispondente alla propria unicità? E, ancora, se dovessimo constatare che possiamo fare solo una cosa per volta e che il tanto fa perdere gusto e valore a ciò che è essenziale alla vita? Se dovessimo prendere atto che abbiamo bisogno di sostare “perdendo” tempo per rigenerarci?

Abbiamo la responsabilità di avere propinato alle nuove generazioni un’idea di benessere fondato sull’accumulo e ciò ha spento il desiderio e ha fatto crollare moltitudini in uno stato depressivo. Oggi siamo in un momento storico decisivo ed abbiamo l’opportunità di riconoscere che la mancanza è il valore che muove ogni cosa e anima il desiderio senza, però, dovere necessariamente arrivare ad una pienezza. Così come il mistero apre alla conoscenza, allo stesso modo la mancanza permette la spinta vitale, la ricerca, il gusto per la scoperta. Senza fame non c’è vita e le giornate sarebbero continuamente grigie.

L’esistenza umana, dunque, non può essere stanziale ma è felice chi rimane in cammino e si considera precario in questo mondo. Egli sarà capace di relazione, di riconoscimento e non rinuncerà al contatto umano perché annebbiato da chissà quale ultimo modello.

La figura di Giovanni Battista in questa domenica (Mc 1, 1-8) rivela tale essenzialità e bisogno di un nuovo punto di partenza che il Vangelo indica in Gesù: «Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio». Non si parte più dalla propria fragilità ma dal dono di Dio, dalla Sua venuta in mezzo a noi. È la lieta notizia della vittoria dell’amore sul male, su ogni tipo di ferita che impedisce all’essere umano di andare oltre il limite, perfino della morte, è ciò che viene posto a principio, non un limite da superare ma l’amore da accogliere!

E’ la prospettiva inversa, rispetto alla logica performante