Sembra paradossale ma il progresso della civiltà umana non riesce a generare amicizia tra le persone e, piuttosto, produce sempre maggiore competizione ed inimicizia fino a giustificare l’eliminazione dell’altro pur di affermare se stessi.

È grande la confusione instillata nell’animo umano, a motivo della convinzione che la sopravvivenza dipende dall’accumulo di fronte all’altro percepito, di conseguenza, come qualcuno che potenzialmente può togliere qualcosa.

La logica d’interesse regola i rapporti umani secondo una legge di mercato dove l’utile da ricavare diventa il criterio di misura e di validazione delle amicizie. La grammatica del possesso, dunque, interpreta le relazioni secondo logiche di convenienza in cui l’amico di ieri si trasforma in nemico di oggi e, potenzialmente, può ridiventare amico domani. Sovente la politica dei nostri giorni risponde a questa fluttuazione imprevedibile dove le visioni ed i progetti diventano cangianti a seconda delle alleanze di turno motivate dal mantenimento del potere.

La nostra specie ha perso il senso della fratenità perchè non riconosce la paternità, la custodia di chi si è speso gratuitamente e solo per il gusto dell’amore in sé. L’amore paterno è ancora più disinteressato, nel senso che manca della immediatezza viscerale dell’amore materno e, proprio per questo, abbisogna di un ulteriore investimento per essere tale. Fonda l’essere chiamati per nome e, pertanto, riconosciuti da chi potrebbe sentirsi perfettamente estraneo. Scaturisce dalla parola prima che dal contatto, è sguardo che segue per proteggere lungo il cammino.

La paternità, dunque, è arte di cura, cioè esprime l’“I care” di don Milani e cioè l’interesse che supera la tentenza egoistica dell’uomo centrato su se stesso. È questa prospettiva a permetterci di approfondire le parabole della misericordia proposte nella liturgia di questa domenica (Lc 15, 1-32).

Gesù risponde allo sguardo giudicante di scribi e farisei i quali mormorano ribellandosi all’agire del Rabbì originario di Nazaret. Il suo avvicinarsi agli ultimi fino a banchettare con i più peccatori destabilizza il loro centro di potere, proprio di una religione basata sulla paura e sulla minaccia da parte dei “giusti”. Scribi e farisei per sottomettere il popolo lo caricavano di pesanti fardelli, sensi di colpa e minacce volti a garantire l’assoggettamento. Gesù, invece, accoglie e condivide, si avvicina amandoli e questo agire provoca conversione e pentimento, fino a trasformare in discepoli quanti fino a poco tempo prima erano peccatori incalliti.

La parabola della pecora smarrita ha un finale indicativo, perchè dice della gioia del Cielo per il peccatore che si converte piuttosto che per i novantanove giusti che non abbisognano di conversione.  Chi si crede “giusto” è saturo di sé, non ha spazio per accogliere il perdono e la misericordia. È l’individuo orgoglioso che pretende di essere l’unico artefice e garante della propria esistenza.

Nella seconda parabola notiamo l’importanza dello spazzare la casa per ritrovare la moneta perduta, come ad indicare un atteggiamento di spoliazione per recuperare quel che manca.

Nella terza parabola viene rivelato come la misericordia di Dio riesce ad irrompere nella saccenza umana. Il fare calcolatore del figlio minore che, dopo avere disperso il dono a motivo di una ricerca esteriore, cerca di ritrovare il padre sottoponendosi alla sua punizione ritenendo necessario un prezzo da pagare per ottenere il perdono. Sorprendentemente trova l’accoglienza piena che gli restituisce la dignità di figlio. L’attenzione si sposta sul figlio maggiore che non tollera questa festa, nutre inimicizia verso il fratello e verso il padre stravolgendo il senso della casa comune, cioè intendendola non come casa di custodia ma di appropriazione di diritti da rivendicare di fronte ai nemici.

In tutti e tre i passaggi è possibile evidenziare la necessità di perdere l’orgoglio autoreferenziale per entrare in relazione autentica con il Padre. Pretendere di dare un prezzo all’amore equivarrebbe a considerare in termini di prostituzione il rapporto con Dio e ciò significa non conoscere cos’è l’amore autentico.

Proprio oggi ricorre il ventiseiesimo anniversario del martirio di don Pino Puglisi. Il male non concepisce la possibilità di un amore gratuito perchè non ne è capace e, pertanto, cerca di ostacolarlo perchè lo coglie come una provocazione. A ragionarci pare assurdo che un gruppo di potenti come i mafiosi possa sentirsi provocato da un semplice sacerdote che quotidianamente si prende cura dei piccoli e delle famiglie del territorio a lui affidato.

La criminalità organizzata reagisce perchè teme di perdere il controllo delle persone trattate con continue minacce e ricatti. La mafia vorrebbe spegnere le coscienze, svilire la dignità degli esseri umani fino a ridurli a burattini del sistema. Il Vangelo libera e restituisce bellezza ed espressione a chi lo accoglie. La Parola è luce là dove molti continuano a camminare al buio.

Quando il sole si leva, a ciascuno è dato di svegliarsi e scegliere il cammino da seguire. Don Pino  ha accolto con il sorriso i sicari sopraggiunti per ucciderlo, l’inimicizia altrui non ha strappato la sua capacità di rimanere amico degli uomini.

Stasera in fattoria avremo la presentazione del melodramma di Rossini La Cenerentola, ed è interessante che il regista Fabio Cherstich abbia pensato ad un finale a sorpresa dove Cenerentola dopo essere stata bistrattata dal padre e dalle sorelle e poi scelta come sposa dal principe, si ritrova a perdonare tutti e a decidere di rifiutare il lieto fine scelto da un altro, seppur principe.

L’amore è gratuito e lei peronda ma poi, per custodire la sua vita, va via alla ricerca del suo cammino. La storia umana, dunque, trova uomini che si assoggettano ai potenti di turno, altri che si dilettano nel sentirsi giusti ed autosufficienti e, infine, quanti riconoscono la loro dignità di figli di Dio e decidono di non svenderla al migliore offerente. Questi ultimi sono gli amici di Dio.

 (15 settembre 2019 sez. Itinerari di vita)