La relazione ci precede, siamo individui non perché creiamo relazioni ma perché le viviamo fin dall’origine e l’ombelico ci ricorda che siamo generati dalla relazione. I rapporti umani, di conseguenza, attendono reciprocità così come quando si fa un regalo e ci si aspetta la gratitudine del destinatario.

Spesso, però, il bene condiviso non ottiene un ritorno, e ancora di più nella società contemporanea che nutre l’individualismo e spinge all’affermazione dell’io di fronte al tu. La gratuità, di conseguenza, pare non avere cittadinanza ai nostri giorni perché l’interesse di turno, frequentemente, orienta i rapporti interpersonali.

Quando la vita sociale viene privata dell’anima e cioè della relazione, si espone ad una grave vulnerabilità e l’escalation di violenza a cui assistiamo ogni giorno ne è solo un sintomo.

Di fronte agli agiti aggressivi le culture più arcaiche hanno posto un limite sancito dalla legge del taglione. Restituire un danno pari all’offesa ricevuta diventava un modo funzionale a contenere le vendette private che, altrimenti, avrebbero scatenato faide senza fine. Un criterio di giustizia fondato su una reazione proporzionata e che, quindi, regolava le proprie azioni in base a quelle altrui.

Il Vangelo scardina questa proporzione perché libera le relazioni da ogni tipo di remunerazione e introduce il criterio paradossale della gratuità del dono, dell’opportunità data dal limite, della fiducia per superare la logica del calcolo.

Paolo sperimenta la sua forza nella debolezza, il buon Samaritano sconvolgendo i piani del suo viaggio si china e mette del suo per prendersi cura dello sconosciuto, Gesù sulla croce parla di pieno compimento piuttosto che di fallimento.

Questa domenica la pagina del Vangelo (Mt 5, 38 – 48) invita alla riconciliazione con l’avversario porgendo l’altra guancia dopo la percossa ricevuta. Continuare a mostrare il proprio volto, e non la parte ferita, significa offrire l’occasione per ricominciare senza lasciarsi fermare dalla violenza altrui.

L’atteggiamento di chi non si lascia coinvolgere dal male ricevuto rivela la pienezza del rapporto con il Padre, è questa relazione a fondare la capacità di resilienza.

La risposta paradossale di fronte alle provocazioni della vita, dunque, è possibile quando si vive da figli. Viene rivelato il volto del Padre che fa sorgere il sole sui giusti e sui cattivi senza distinzioni perché Lui fa dell’esistenza umana un’occasione per accogliere la pienezza. Significa aprirsi al Suo amore che non ha limite e che desidera la felicità per ogni creatura.

Per entrare in questa dinamica relazionale è necessario cessare di mascherare la propria vulnerabilità finendo con l’affermarsi esercitando potere sul prossimo o, ancora, smetterla di cercare legami senza accettare il sacrificio.

Simili resistenze non permettono relazione autentica, continuano a generare scarto sociale perché escludono le fasce di popolazione più deboli e fomentano il dominio dei pochi sui molti.

Sono processi umani che procurano omologazione e discriminazione, tensioni sociali che frantumano i rapporti all’interno delle città.

Aprirsi alla prospettiva evangelica significa ripartire dall’ascolto spostando il centro da sé all’altro, questo non significa passivizzarsi ma scoprire se stessi perché è solo attraverso il rispecchiamento con la realtà che ci circonda che è possibile definirsi. Il processo di individuazione, infatti, abbisogna dell’interazione e di legami significativi.

Il Vangelo mostra come, dallo sguardo del Padre, è possibile scoprirsi amati e la prossimità di Gesù è il segno della portata di questo desiderio per ciascuno.

Tale esperienza apre al dono perché il cristiano si lascia abitare dagli stessi sentimenti del Maestro che trasportano oltre ogni misura o calcolo di convenienza. Crediamo che il beato Rosario Livatino, magistrato martirizzato nella nostra terra di Sicilia, intendesse fare riferimento a questa testimonianza relazionale con simili parole: “ Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”.