Questa domenica desideriamo soffermarci sulla figura di un santo, Ludovico re di Francia, di cui oggi ricordiamo la memoria. È particolare la sua testimonianza nel tempo che viviamo. Egli infatti fu re ma non sovrano alla maniera dei potenti di questo mondo e, in particolare, trovò nella difesa dei più poveri il criterio per esercitare la giustizia.

La sensibilità verso i piccoli maturò, ulteriormente, in un percorso per il quale passò pure Francesco d’Assisi a cui Ludovico si ispira: la sconfitta!

Entrambi si adoperarono per le Crociate e mentre Francesco sulla via che lo avrebbe portato a Lecce per partire con Gualtieri di Brienne si ammalò e in quella condizione ebbe la rivelazione di Dio che lo invitava a seguire il padrone e non il servo; Ludovico vide interrompere due crociate, da lui organizzate, a motivo della peste.

Siamo nel XIII secolo, ancora troppo lontani dalla Pacem in Terris di Giovanni XXIII in cui si affermava che “La vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia”, o  dallo storico grido di Paolo VI  “Mai più la guerra”, durante il discorso all’ONU, ma quel che conta è che l’uomo ferito dall’impotenza ha la possibilità di consegnarsi totalmente a Dio. La santità, dunque, sta nel riconsocere che la propria storia è sempre occasione per accogliere la visita di Dio. È la luce che si accoglie a determinare quale senso dare agli accadimenti della propria esistenza e non l’essere più o meno fortunati: Dio ha già fatto irruzione nella storia dell’umanità!

Questo primo aspetto che riteniamo prezioso per riflettere sulla santità non è affatto scontato. Di fronte all’impotenza l’essere umano può reagire con rabbia e amarezza. Tanti, infatti, imprigionano il proprio vivere nel vittimismo così come, altri, nella rivendicazione continua per il torto subito.

In quel caso, inoltre, si assiste ad una erronea percezione della forza, intesa come stabilità e inamovibilità. Il forte, così inteso, è colui che detiene o mira al “posto fisso” quale centro di potere e di abuso nei confronti degli altri. È l’inamovibilità dei “primi posti”, così come quando nei banchi di una chiesa si viene rimproverati perchè ci si è seduti “al posto di” uno storico detentore.

Ma, ci rendiamo ben conto, chi è intrasferibile rimane sempre uguale a se stesso e invece siamo fatti per diventare altro, perchè senza instabilità non c’è crescita e senza mancanza si spegne il desiderio. Anche per questo Francesco d’Assisi chiedeva l’itineranza ai suoi frati, proprio per non fare del loro ministero un centro di potere.

Il debole, piuttosto, manca di qualcosa, non è pieno di sé o di altro ed è capace di accogliere e di relazionarsi. È la postura di chi rimane in ricerca per andare oltre, è l’atteggiamento del discepolo che ha bisogno di ascoltare e vedere il Maestro per continuare a camminare. Si oppone, questa aspettativa, al fare del giovane ricco del Vangelo che elenca a Gesù i tanti meriti per le buone azioni fatte ma che poi non è disposto a lasciare per seguirlo, non è capace di scelta e, pertanto, rimane fermo.

San Ludovico nel suo testamento spirituale da delle indicazioni chiare per indicare al figlio le scelte da fare. Scrive sulla gratitudine con cui affrontare le sfide dell’esistenza: “se il Signore permetterà che tu abbia qualche tribolazione, devi ringraziando, e sopportarla volentieri pensando che concorre al tuo bene. Se poi il Signore ti darà qualche prosperità, non solo lo dovrai umilmente ringraziare, ma bada bene a non diventar peggiore per vanagloria”.

Sappiamo bene come accogliere Dio nella propria vita non salva dalle prove, Lui piuttosto offre una nuova via per affrontarle. Per rimanere in questa strada è necessario mantenere la fiducia, si pensi ad Abramo che cerca di valutare secondo un criterio di convenienza il suo rapporto con la moglie Sara e si finge suo fratello per timore del faraone. La paura sostiene pensieri contrari allo Spirito e l’uomo, in quei casi, inizia a calcolare pretendendo di controllare ogni cosa, riducendo l’altro a oggetto in base al proprio tornaconto. Abramo diventerà padre di una numerosa discendenza solo quando si rimetterà in cammino affidandosi a Dio.

Giuseppe, lo sposo di Maria, è invitato a fuggire in Egitto perchè la sua storia dopo avere accolto la Parola è compromessa con quella di Dio e, ciò nonostate, continua a fidarsi. Anna pur essendo rimasta vedova dopo sette anni di matrimonio, non si chiude ma rimane fedele a Dio e Lui la visiterà là dove si trova. Anche Paolo che ad Atene viene deriso quando parla della resurrezione, non si ferma al fallimento del momento e così Dio aprirà una nuova via e a Corinto, dove si recherà, non userà sublimità di parole o di sapienza (1Cor 2,1) ma annunciando essenzialmente Cristo crocifisso e morto per loro.

Dunque se da un lato la mentalità passionale di fronte ai fallimenti reagisce con orgoglio, la mentalità spirituale coglie l’opportunità della prova quale occasione per approfondire la relazione di fede. Mentre l’orgoglio del vincitore resiste alla grazia, l’umiltà permette a Dio di operare ed elargire i suoi doni.

L’esperienza cristiana procede per immersione nel mistero, si entra in un rapporto con un Tu e sarebbe terribilmente riduttivo fare della esistenza personale un rapporto di possesso con le cose.

La materia quando è usata come luogo di appropriazione e quindi esercizio di potere perde la sua verità, ma è quel che accade nel rapporto con il cibo fin dal peccato delle origini. La materia ha una sua profonda valenza relazionale altrimenti perde della sua bellezza, una carezza o il dono di un oggetto fatto da una pesona cara, altrimenti, non avrebbe la forza evocativa che ordinariamente ha.

Ancora, nel suo testamento spirituale al figlio scrive: “ Non guardare distrattamente in giro e non abbandonarti alle chiacchiere, ma prega il Signore con raccoglimento”. Quando si premura a trasmettere quanto per lui è più prezioso, ecco che descrive l’essenziale che conta. La distrazione è propria di uno sguardo estetico che si ferma alla forma ma senza permettere alla materia di rivelare la sua bellezza. Si distrae chi non riesce ad andare oltre l’apparenza, come nel caso di un colloquio distratto in cui si ha la percezione che l’interlocutore non sta cogliendo quanto gli stiamo consegnando attraverso le parole. Spesso la quotidianità è abitata da un flusso di immagini che scorrono veloci ma senza relazione, è la superficialità del guardare per appropriarsi di quante più immagini.

Tale esperienza priva del paesaggio interiore, estranea e riduce la vita ad una continua dipendenza e fuga al di fuori di sé. È perciò che Ludovico indica nel raccoglimento la via preferenziale per ritrovarsi. Si tratta della custodia di chi accoglie e si prende cura nutrendo quel che ha ricevuto.

Senza sosta non possiamo lasciare risuonare le esperienze fatte, senza silenzio non si darà voce alla propria interiorità. Il continuo ricorso alle parole è sintomatico di questa espropriazione e l’eloquio costante manca di verità. Così è la politica dei nostri giorni in cui la parola è utilizzata per affermarsi sulle masse e convincerle delle proprie ragioni.

Sappiamo bene come in nome di presunte verità nella storia sono stati commessi i più efferati errori. Quando Dio salva amando, l’oppositore salva facendo il bene cioè inganna sostituendo l’amore personale alle cose che dovrebbero appagare senza sacrificio e attraverso il farsi da sé.

È la meta che si persegue a dare senso alle cose e non i mezzi che si usano. Il fare per l’altro, senza alcun limite, può fare perdere la priorità del nutrimento necessario per custodire la relazione con Dio. I destinatari non dovranno riconoscere la grandezza di Dio che non dimentica e non l’ammirare quanto si è stati bravi! Nella tentazione, dunque, i mezzi sono resi più importanti della meta.

Solo il Figlio amato può rivelare l’amore del Padre ed è perciò che nella croce di Cristo riconosciamo quanto il Padre ci ha amati. Altrimenti Cristo diventerebbe un mero eroe da ammirare e il cristianesimo un’emozione di gratitudine infinita così come di mestizia per il dolore contemplato. Il tentatore cercherà di staccarci dalla storia e dalla relazione con Dio che lì ci visita, invece proporrà delle scorciatoie per rivendicare il rimedio alle mancanze di Dio.

Ludovico prosegue nella sua lettera esortando il figlio nel discernimento a stare “sempre dalla parte del povero anziché del ricco, fino a tanto che non sei certo della verità”. È l’opzione di chi ascolta la persona senza lasciarsi influenzare dallo status e, pertanto, dal tornaconto che ne potrebbe trarre. In quel caso al centro non è l’io individuale ma l’altro e la sua storia.

Guardare all’altro per quello che è e non per quello che dovrebbe essere, interessarsi senza un fine esprime la gratuità senza condizioni. È la libertà che Gesù ha nell’incontro con la vedova di Nain, così come per il centurione il cui servo era ammalato o per le folle di cui aveva compassione. Gesù dona loro gratuitamente senza chiedere nulla in cambio. Si pensi all’incontro con Zaccheo, è Gesù ad andare a pranzo da lui quando era ancora peccatore. La persona che si sente visitata e amata da Dio ecco che allora si apre affidadosi pienamente. La risposta dell’uomo è sempre consequenziale all’agire amorevole di Dio!

In definitiva Ludovico rivolgendosi alle nuove generazioni lascia gli antidoti per rimediare a tre grandi mali: la gratitudine di fronte alle prove; lo sguardo verso la meta per eludere le distrazioni; l’onestà verso il povero per rinnegare ogni logica di opportunismo. Questo antidoto genera alla santità.

Le reliquie del corpo di san Ludovico sono custodite nel Duomo di Monreale, lui che si era fatto povero ed è morto appestato, ha trovato ultima dimora terrena in un luogo che splende di luce, tanta è la ricchezza e la bellezza che custodisce, fino a creare un disegno unico e ricco di dettagli. A Monreale viene espresso il linguaggio dell’amore, è esuberante ma non euforico, è il lessico della santità che si rifà al Santo. La santità affascina, attrae perchè coinvolge ed immerge nel mistero e mai chiude portando a sé.