Ci sono patologie come la depressione, l’anoressia o la schizofrenia che determinano un profondo isolamento e disadattamento e, sovente, sono frutto di ripetuti e gravi fallimenti relazionali perchè è nella relazione che l’individuo è più vulnerabile in quanto di rapporti umani si vive o si muore.
Il cammino della vita, però, ci insegna a puntare su una relazione fondante la quale è capace di dare senso a tutte le altre, un vincolo così saldo che neppure la morte è capace di spezzare in quanto è frutto di un amore che ha già attraversato l’abisso pur di rimanere tale.
Senza questa esperienza ciascuno rischia di restare orfano nel viaggio in questo mondo e, pertanto, di smarrirsi nella ricerca di una direzione.
In quel caso l’individuo può decidere di chiudere le porte trincerato nei suoi risentimenti e, ancora prima, nelle sue paure. È lì che è necessaria una irruzione che superi quella barriera rivelando che l’atteggiamento vittimistico non ha soluzione ed è proprio di chi resiste al dono gratuito.
Questa domenica in Albis, poi divenuta festa della Divina misericordia, offre una occasione di guarigione preziosa per abbandonare le tane difensive solo apparentemente sicure e per immergersi nella relazione filiale con Dio. Il titolo “Divina misericordia” fu istituito da Giovanni Paolo II nel 1992 quando già erano comparsi i primi sintomi del Parkinson, il male che gradualmente lo avrebbe consumato. Per lui la malattia divenne ulteriore occasione per approfondire l’amore di Dio e continuare a condividerlo con il popolo che gli era stato affidato.
Nella pagina del Vangelo (Gv 20, 19-31) troviamo i discepoli trincerati in casa per la paura, sono delusi e la crocifissione del Maestro ha significato il fallimento di tutto. In quell’assise entra Gesù salutandoli, “Pace a voi”, mostrando loro le mani e il fianco. Non si tratta più dello shalom tipico del saluto ebraico, qua la pace si identifica con la sua persona, ed è lui a donarsi, quella pace ora scaturisce dal suo amore.
Nel mostrare le mani ed il fianco rivela il segno del suo legame e cioè di come ha resistito alle ostilità rimanendo in relazione con il Padre e al contempo con ciascuno. Il suo rapporto filiale non è divenuto motivo di rifugio intimistico, abbandonando l’umanità così crudele, ma occasione di perdono e di condivisione della relazione che viveva con il Padre. Con quel gesto rivela la concretezza di un amore che non è venuto meno e di come la ferita ne ha solo comprovato l’autenticità. Le mani che hanno guarito l’umanità peccatrice e che hanno sostenuto gli esclusi fino a farsi servo di tutti durante il ministero di Gesù, ora rivelano che quel dono è per sempre!
Si comprende, ora, quel che aveva detto Gesù e cioè che la sua pace non è come quella del mondo fondata sulla vittoria e quindi sulla sottomissione dell’avversario, una pace ottenuta attraverso l’esercizio del potere. Lui, piuttosto, è venuto a donare la vittoria frutto dell’amore aldilà delle tempeste che stanno attorno.
È vittorioso che accoglie questa relazione gratuita che rigenera a vita nuova e rende capaci di misericordia. L’agire misericordioso si compone, infatti, di due movimenti sincroni: il fare spazio dentro di sé per accogliere l’altro e il muoversi verso di lui per donarsi. Il prossimo, dunque, non viene percepito come un intruso da tollerare ma quale ospite atteso da curare e, quindi, da restituire alla vita.
Non significa trattenere o legare a sé in cerca di gratificazione ma desiderare il bene dell’altro, la sua guarigione e la sua libertà nel cammino della vita. È per questo che il Risorto darà ai suoi il potere di slegare dai peccati perchè il desiderio di Dio è che il peccatore si converta dalla via della morte e torni a camminare verso la meta.
La giustizia non si traduce, allora, nel condannare le colpe ma nel perdonarle affinchè il peccatore possa pentirsi e vivere dell’amore che già gli viene donato. È questa la forza che conquisterà l’incredulo Tommaso e anche lui si lascerà contaminare fino a donare la vita per amore del Maestro.
Imparerà, Tommaso, che per essere misericordiosi è necessario uscire dalla solitudine ed iniziare a camminare lasciandosi reggere da un altro, camminare anche faticosamente ma sapendo che non saremo mai abbandonati.
In questo modo ad ogni cristiano è dato di essere epifania dell’Eterno, testimone del Maestro che ha portato a compimento l’amore. Non a caso la chiesa delle origini è sorta là dove è stato sparso il sangue dei martiri e proprio al mattino della domenica in Albis su quelle tombe, su cui era stato eretto l’altare, i nuovi battezzati deponevano la veste bianca segno della loro dignità filiale.