Vivere di promessa è la sfida cristiana che apre uno scorcio di prospettiva inedita nella cultura saccente dei nostri giorni. Sebbene essa vorrebbe controllare tutto secondo un meticoloso calcolo scientista, alla fine consegna ciò che appare irragionevole ad ipotesi fantastiche che fanno dell’intellettuale contemporaneo un fatalista affidato alle polveri sottili della magia o a qualche talismano precisamente confezionato a seconda delle sue aspettative.

La promessa a cui fa riferimento la Scrittura, piuttosto, apre ad uno sguardo capace di visione oltre le apparenze, in grado di scrutare i segni e di attendere per rintracciare il senso profondo delle cose.

Il frutto di questo orizzonte è dato dall’ingresso in una relazione nuova frutto dell’amore del Cielo e non dettata da logiche di appartenenza prive di libertà. I legami, infatti, vengono puntualmente rivisitati e scelti quale espressione del dono di sé per l’altro superando il vincolo di sangue che, da solo, sarebbe segnato da un familismo capace di rivalità ed inimicizia e privo di gratuità e perdono.

La festa della famiglia di Nazaret che celebriamo oggi esprime il senso di questa visione che trova le sue radici già nell’esperienza di Abramo al quale dapprima viene chiesto di accogliere la promessa di una discendenza numerosa quanto le stelle del cielo e, successivamente, di offrire il figlio Isacco restituendolo al Signore. La fiducia nell’opera di Dio malgrado la propria fragilità è la premessa necessaria per entrare nel mistero dell’esistenza, non con logica di appropriazione e di conquista ma di custodia e gratitudine per il dono ricevuto.

Anche a Maria e Giuseppe è chiesto di non temere e di continuare a fidarsi oltre le apparenze. Giuseppe dovrà seguire l’indicazione del sogno, non una verità calcolata ma una intuizione frutto dell’ascolto del Cielo, e Maria dovrà custodire i fatti pur senza averne una comprensione piena ma con una memoria colma di relazione con Dio. La storia biblica si snoda su queste coordinate che, puntualmente, attendono la risposta umana affinché la storia possa diventare evento di salvezza, luogo capace di reale cambiamento in questo mondo.

Con l’incarnazione di Gesù il Cielo si compromette in modo nuovo coinvolgendo l’umanità in una relazione del tutto inedita e questa partecipazione che si apre con la famiglia di Nazaret segna la novità della storia che attende la risposta umana.

La nostra Comunità di Danisinni è particolarmente legata a questa festa proprio perché la chiesa locale nata nel 1700 è stata intitolata alla famiglia di Nazaret come a manifestare che lo sguardo di Dio privilegia i piccoli di questo mondo. Danisinni così come ogni angolo della terra è visitato dalla luce del Cielo e sta a ciascuno volgere lo sguardo in alto per scrutare il senso delle cose senza rimanere schiacciati su un piano emergenziale rabbuiato dalle prove della vita.

Se ancora oggi violenze e guerre si diffondono in ogni dove è perché i rapporti umani rimangono stretti dal piano familistico mosso dagli interessi economici e di potere come accade nei clan mafiosi e nelle lobby finanziarie o, ancora, nel patriottismo nazionale che fa della guerra un valore identitario.

Anche il senso della famiglia, ai nostri giorni, viene ferito da questa prospettiva individualista in cui la possessività che caratterizza le relazioni rivela la mercificazione con cui si tratta il prossimo senza reale interesse per il dono della sua presenza.

A fronte di una cultura che rivendica l’emancipazione da ogni forma di religiosità trasformando le feste in mere rappresentazioni consumistiche, la fede cristiana continua a celebrare il mistero di Dio che non esita a mostrarsi piccolo per lasciarsi incontrare dalla creatura perché il Cielo è condivisione, desiderio di comunione.

Entra nel mistero chi è ancora capace di stupore, chi prova meraviglia per l’avventura della vita, chi non esita a consumarsi per amore.