L’esistenza si snoda nella complessità, il cammino personale non è mai lineare e, certo, non può essere frutto di un controllo programmatico dove ogni passo viene calcolato. È anche vero, però, che il viaggio della vita abbisogna di una direzione e cioè di una meta da perseguire perché senza di essa si riduce ad un continuo avvitamento attorno a se stessi.

Per quanto si voglia esorcizzare la questione del bene e del male, e l’uomo contemporaneo cerchi di spostare la riflessione sul piano della superficie, intesa come ricerca di un continuo piacere quale metro della propria libertà, di fatto il male continua a strappare gusto e senso alla vita di molti che si ritrovano a raccontare biografie continuamente ferite ed interrotte.

Il senso di continuità storica, oltre ad essere un indice di salute mentale, è espressione di una personalità che nutre un senso vitale orientato verso una direzione. Non si tratta di perfezionismo ma dell’umiltà di sapersi rialzare dopo ogni caduta o esperienza fallimentare e, così, riprendere il cammino con la consapevolezza che nulla andrà perduto.

Avvalersi dei propri errori trasformandoli in occasioni per riconoscere i propri limiti e, così, rispettarli, diventa assai fruttuoso perché ci si rende conto che nessuno può bastare a se stesso.

Per vivere tale opportunità di crescita, però, ciascuno deve decentrarsi comprendendo che non si vive per se stessi. Fino a quando la ricerca di appagamento continuerà a dirigere i propri giorni l’individuo si priverà di relazioni autentiche e falserà il rapporto con la realtà che lo circonda, credendo che il proprio microcosmo possa racchiudere il tutto!

La felicità è sempre oltre se stessi e, come ricorda il Vangelo, il gusto è nel donare più che nel ricevere. Non si tratta, certo, di un processo di autosvalutazione depressiva o di alienazione euforica ma di scoprire se stessi a partire dall’altro che ci circonda.

La festa dell’ “Immacolata concezione” ci consegna questa prospettiva e cioè la capacità di sguardo frutto dell’ascolto. Vede chi sa ascoltare, altrimenti si rimarrebbe schiacciati su visioni autocentrate e limitate dall’umore del momento.

Questa festa non idealizza la figura di Madre di Nazaret ma, piuttosto, la riconosce creatura e proprio per questo chiamata a rispondere alla richiesta di Dio. Anche lei, come Eva, avrebbe potuto rifiutarsi di ascoltare lasciandosi dirigere da un calcolo prudenziale per avere altre garanzie di vita.  L’essere “immacolata”, infatti, le restituisce libertà nell’ascolto ma permane la libertà della risposta.

L’assenza della ferita delle origini, ossia di quel “peccato originale” che ha reso vulnerabile il genere umano, le ha donato libertà di ascolto ma lei ha scelto di fidarsi anziché opporsi. Senza questa premessa il suo “eccomi” sarebbe stato fondato non sulla fiducia nel Padre ma sulla propria autoaffermazione di fronte a Dio, come a doversi mostrare giusta e perfetta per riscattare una ferita antica.

La fiducia e il coraggio che ebbe lei, comune ragazza di Nazaret, è per ogni cristiano un esempio eloquente che interpella su quale ascolto dirige la propria esistenza. Il battezzato è stato rigenerato a vita nuova e questo dono abbisogna del continuo ascolto del Cielo per trovare direzione lungo il cammino di ogni giorno.

La Parola si è fatta carne attraverso il “Sì” di Maria e, ora, attende di continuare a farsi storia attraverso la risposta quotidiana di ciascuno.