La storia ripropone scenari di inimicizia che generano scartati e cioè persone usate e poi gettate via, popoli che pagano il prezzo dei comfort di altri che non accennano a volersi scomodare per aiutare gli ultimi del mondo. Corriamo tutti il rischio di schierarci dalla parte degli “scartanti” incuranti delle conseguenze delle nostre scelte quotidiane.

Scarta chi è privo di visione e rimane preso dal bisogno immediato cercando di soddisfare se stesso considerandosi al centro di tutto e subordinando la percezione della realtà esterna al proprio appagamento. Lo spontaneismo dilagante dove ciascuno ritiene vero ciò che pensa e sente, passando a frasi o agiti privi di discernimento, appartiene alla logica dello scarto perché il criterio di verifica della realtà circostante è ridotto al proprio punto di vista. Sono quelli che fanno fatica a gioire per i successi altrui e, ancora, si mostrano disinteressati agli ultimi e cioè a coloro che non hanno la possibilità di dare qualcosa in cambio della cura che abbisognano.

Si tratta di un assetto centripeto dove l’altro è misconosciuto e, altrimenti, visto solo in funzione del proprio interesse. Una postura che manca di fiducia nell’umano, nelle potenzialità altrui e nella possibilità di un cambiamento per condividere qualità di vita restituendo dignità a ciascuno.

Le continue guerre che si diffondono in tutto il pianeta sono sintomo di questa prospettiva che continua a mietere vittime generando scarti umani e muri d’inimicizia come sta accadendo, in queste ore, in Palestina.

Il Vangelo (Mt 21, 33-43) di questa domenica ci presenta una parabola che rivela un sguardo divergente in cui Dio rimane interessato all’umano malgrado la persistente minaccia.

L’immagine è quella di una vigna che Lui ha ben curato fino a provvedere ad una siepe che ne definisce l’esposizione, un limite volto a custodire la bellezza della vita così come a principio viene descritto nel giardino genesiaco. Eppure chi doveva custodire si appropria ed ora esclude l’autorità del Cielo, è il popolo d’Israele Sua vigna che rifiuta l’annuncio del Messia. La parola di Gesù è dirompente perché sovverte le logiche di potere e di antagonismo, innalza gli umili e abbassa i potenti, svela il cuore mortifero di chi avrebbe avuto più occasioni di bene e restituisce centralità agli invisibili di ogni tempo che, riconosce, capaci di autentica misericordia.

Il Suo desiderio è che la vigna possa dare frutti e dunque essere feconda per altri. I frutti della propria esistenza, infatti, quando vengono restituiti diventano occasione di bene per tutti, luogo di crescita umana per la società intera. Chi se ne appropria e vive con logiche di esclusività individualista procura marginalizzazione e, oltretutto, sciupa il bene che gli era stato affidato. L’esistenza di ciascuno è quel bene!

Ma Dio rimane generoso sino alla fine e alle continue aggressioni risponde con doni più grandi fino ad offrire il Figlio. È da questo passaggio ulteriore che arriva l’insegnamento del Vangelo.

Il Salmo 118 già annunciava «La pietra che i costruttori hanno scartata, è diventata pietra angolare, è questa è l’opera meravigliosa del Signore». Ora Gesù la riprende dopo avere lanciato per aria i banchi dei cambiavalute e venditori del tempio. Sta compiendo una purificazione di una prassi che aveva offuscato il senso della religione d’Israele trasformando la relazione con Dio in un mercato di ladri e, ora, annuncia un’ultima purificazione quando quel tempio potrà reggersi sulla pietra scartata e cioè su di Lui che sarà umiliato sino alla morte. Successivamente Pietro negli Atti degli Apostoli (4, 10) riprenderà l’espressione confermando che il Crocifisso è quella pietra scartata e che, risorto, rimane vivente e quindi amante e, dunque, procura la guarigione da ogni male.

L’affermazione di Gesù, tornando al brano, sottolinea l’impossibilità di trovare il Padre all’interno di quel luogo che discrimina e accoglie solo giusti e puri respingendo gli umili. La siepe che doveva essere luogo di accoglienza e di custodia è stata trasformata in muro d’inimicizia così come accade per gli innumerevoli muri di separazione che segnano i confini dei Paesi in tutto il mondo. Quelli ufficiali sono settantasette ma se ne contano un centinaio, senza includere il Mediterraneo che negli ultimi vent’anni è stato trasformato in luogo di esclusione e di morte per decine di migliaia di ultimi.

Lui sarà portato fuori la porta della città di Gerusalemme e crocifisso. È questa la modalità sovversiva che viene annunciata dal Vangelo e, ribadirà Pietro (1Pt 2, 4), quella pietra scartata ora è vivente e cioè ha attraversato la morte ed ha restituito la vita per sempre perché ha mantenuto sino alla fine l’amore per l’umanità tutta.

La novità apportata da Gesù, allora, cambia il senso del versetto del salmo 118 che veniva pronunciato, nel tempio, dagli israeliti che tornavano dall’esilio. Non si tratta della protezione di Dio che permette di avere la rivincita o la liberazione dalla mano schiavizzante dell’uomo ma della capacità di vivere tra gli esclusi di questo mondo fiduciosi che la relazione con Dio non è mai venuta meno.

Il Maestro invita a prendere la propria croce e a seguirlo là dove Lui si trova e il contesto di marginalità rimane, attraverso i tempi, la nuova dimora di Dio.

Lo slogan del processo di rigenerazione di Danisinni “dalla periferia al centro” è stato dettato da questa prospettiva che non intende giudicare il contesto periferico trasformandolo in un’area di colonizzazione urbana stravolgendone la vocazione campestre ed umile, cioè, libero da speculazioni commerciali. Piuttosto si è cercato di promuovere un contesto di resistenza virtuosa dove il limite dei luoghi e la precarietà esistenziale si sta trasformando in offerta di un’oasi paesaggistica custodita dal caos cittadino e di una diffusione di buone pratiche artigianali che raccontano l’autorevolezza di un lavoro umanizzante dove è possibile sostare per parlare e trasmettersi insegnamenti a vicenda.

Anche le diverse forme di espressione artistica a Danisinni così come in ogni luogo sono funzionali a questa contaminazione che suscita resistenza virtuosa. Pensiamo, ad esempio, all’artista Banksy che nel 2017, nel centesimo anniversario dell’occupazione dei territori palestinesi, ha creato in Cisgiordania, a 400 metri dal checkpoint di Gerusalemme, un Art Hotel con vista sul muro per denunciare l’esclusione dei territori palestinesi facendo di quel luogo di ingiustizia un’attrattiva per la riflessione e la costruzione di un pensiero di pace aperto all’umanità tutta.

Il processo di riscatto delle nostre città passa per la resistenza degli scartati a cui si restituisce voce ed espressione creativa così come puntualmente rivela il Vangelo. È questo il senso del “portare frutto” ma ciò  non è tangibilmente afferrabile proprio perché i frutti non ci appartengono, sono patrimonio comune e, piuttosto, si rivelano attraverso i benefici e la bellezza altrui. Il frutto su cui poggia la nostra capacità, è il dono che Gesù fa della Sua vita, non strappata ma consegnata e, dunque, dono d’amore. A ciascuno è dato di accogliere e lasciare vivere questo dono nelle propria vita che diventa nuova siepe che custodisce il dono gratuito per l’altro.

Ognuno, dunque, è custode nella misura in cui fa la propria parte come ci ricorda padre Pino Puglisi il quale si è lasciato condurre sino al martirio regalando un ultimo sorriso al suo carnefice e, così, diventando testimone del Suo amore, tempio del Dio vivente.