Ripartire dalla storia è sempre necessario per leggere la vita di ciascuno ma, la lettura, dipenderà dalla chiave ermeneutica che adotteremo. Al buio non abbiamo alcuna comprensione di quel che accade, così come quando si sfogliano le pagine di un libro senza comprendere quello che vi sta scritto. Se da bambini potevano bastare delle figure per inventare la storia di una favola, l’adulto ha bisogno di sostare per comprendere e discernere quello che sta accadendo attorno e dentro di sé.

Quest’anno celebriamo il Natale continuando ad essere interpellati da decine di migliaia di profughi che chiedono di potere sopravvivere e si aggiunge una guerra a milleseicento chilometri di distanza, come a ricordarci i tanti conflitti in corso da anni  e che cercavamo di ignorare, così come molteplici eventi di efferata violenza che affliggono il nostro Paese.

Quando apprendiamo del crescente divario tra ricchi e fasce di popolazione sempre più marginalizzata ci rendiamo conto delle profonde ingiustizie che attraversano la nostra società e questa constatazione potrebbe fare smarrire la visione del Natale forse perché legati ad un ricordo poetico delle festività natalizie. Di fatto, dobbiamo riconoscere, che l’Evento della nascita di Gesù riporta prepotentemente alla storia di allora, e di oggi, tradendo la mentalità  delle altre religioni che miravano a scorgere il mistero del Dio altissimo intendendolo come aldilà della vicenda terrena.

Il segno del Natale, piuttosto, è di estrema concretezza perché ci consegna la nascita di un bimbo che, in questo accadere naturale,  rivela la presenza di Dio.

Il Natale è esperienza di comunione con il Cielo che apre una via nuova perché Dio si unisce all’umanità nascondendosi nella fattezza umana. Questo fatto è talmente scandaloso da destabilizzare i puritani di ogni tempo, quelli che nel Vangelo saranno indicati come “sepolcri imbiancati”.

Il Natale è scomodo perché fa luce su ciò che illusoriamente vorrebbe garantire la vita e, di conseguenza, rivela la vacuità di quanto solo apparentemente dovrebbe procurare un prestigio o un motivo per vivere.

Tornando al racconto del Natale scorgiamo quanto sia stata avversata questa nascita e come un’azione contraria abbia cercato di resistere e, addirittura, impedire questo Evento. Ma cosa c’è di così temibile nel Natale?

Vengono scardinate le logiche di questo mondo, il calcolo dei potenti che vorrebbero dominare i piccoli di ogni luogo e, soprattutto, viene data rilevanza agli ultimi e non a quanti si ritengono “primi”.

L’esperienza del Natale, dunque, richiede un andare oltre le apparenze incamminandosi in una via che porta da sé all’altro, dalle proprie precomprensioni e aspettative alla meraviglia per l’originalità di Dio.

Senza fare spazio interiore, e cioè senza spogliarsi dell’ego che vorrebbe controllare tutto e tutti, non è possibile riconoscere ed accogliere il dono del Natale. La sobrietà è la postura per accoglierlo, altrimenti Lui non troverebbe ospitalità in quanto troppo presi dagli idoli a cui affidare l’esistenza.

Dio si rivela nella storia eppure, questa, pare andare nella direzione opposta. L’impero romano viveva il censimento che è l’ennesimo tentativo di controllare e assoggettare, anche economicamente, il popolo. Nel Vangelo, invece, puntualmente scopriremo come Dio si riveli nei meandri della storia, che pare narrare solo brutture e fragilità umane, portandoci oltre perché la Luce è venuta nel mondo per orientare il cammino e prospettiva oltre le apparenze.

Una lettura di superficie potrebbe ingannare ma già scorrendo tutta la Scrittura è possibile cogliere come il travaglio di un popolo ad esempio durante l’esilio, frutto dell’avere ricercato protettori in altri e non in Dio, diventa l’occasione per una spoliazione che permette ad Israele di recuperare l’essenza della propria vita e la relazione con il Cielo.

Se rimarremmo fermi ad un’aspettativa lineare che legge la storia secondo un processo di causa-effetto non troveremmo alcuna spiegazione, Dio si rivela nella piccolezza della storia quotidiana della gente umile. Così erano Maria e Giuseppe che in quella notte si trovarono a cercare un rifugio precario e Gesù nascerà sulla soglia di quel riparo e poi posto all’interno nella mangiatoia.

I protagonisti di quella notte vivono una precarietà significativa perché li apre ad accogliere Dio che visita il buio dell’umanità per portare la Luce. Maria, considerata la vulnerabilità di quel momento di gravidanza, avrebbe avuto tutte le buone ragioni per rimanere in casa  e, così, sottrarsi alla partenza per il censimento, eppure lei parte e affronta anche la provvisorietà di ogni cosa finanche il partorire in una stalla.

Loro si sono fidati del Cielo e questo li ha resi strumenti dell’opera di Dio. Anche la mangiatoia assumerà un valore simbolico perché Gesù salverà facendosi cibo per tutti; propone, dunque, non una guerra ma una pace scomoda per chi rivendica competizione e conflitti.

Da allora ad ogni essere umano è aperta una via nuova: quella del riscatto da ogni forma di schiavitù perché la libertà è in primo luogo interiore ed è libero chi si riconosce figlio di Dio; e quella della missione quotidiana dove a ciascuno è dato di mettere a frutto i talenti rischiando, senza conservare nulla per sé, di compromettersi per la causa del bene.

Il Natale, dunque, è questione di ogni giorno e chiede di essere protagonisti di una storia percorsa nella luce del Cielo.