Di fronte a tante nefandezze che affliggono lo scenario dei nostri giorni appare evidente il bisogno di interiorità per tornare a dare spazio alla bellezza.

Paesaggio esteriore e paesaggio interiore, infatti, si riflettono e si approfondiscono a vicenda ma fino a quando si confonderà l’esteriorità con la bellezza mancherà la possibilità di uno specchio autentico e tutte le immagini prodotte procureranno alienazione.

L’errore di prospettiva nasce dal fatto che si parte da un’idea astratta ed eccezionale di bellezza da applicare, successivamente, alla realtà. Ma il quotidiano con tutta la sua precarietà non corrisponde a quell’immaginario ed allora si cerca di mettere un habitus vistoso fatto di accessori, beni e prestazioni eccellenti, per dimostrare l’importanza della persona.

Si è innescato, dunque, un meccanismo dissociativo perché il soggetto ha imparato a farsi riconoscere per la perfezione esibita e non per la sua reale condizione di persona limitata e debole. Di conseguenza l’individuo si è condannato a non incontrare se stesso e a rinnegare la propria fragilità pensandosi, in questo modo, felice!

Tale processo, in verità, è stato favorito da una sclerotizzazione della vita spirituale che erroneamente ha inteso la fede cristiana come una ricerca di perfezionismo quale via per arrivare al cielo. Il cristianesimo, piuttosto, nasceva dal chinarsi di Dio che si fa prossimo e dunque fragile, per camminare nella storia dell’umanità.

Per reggere tale idealità molti cadono in forme maniacali di autocontrollo o assumono sostanze di vario genere pur di rimanere sempre carichi e prestanti. Altri, ancora, scivolano in doppie vite o comunque percorsi paralleli per garantirsi dei surrogati e, così, trovare almeno un parziale appagamento.

La bellezza, secondo l’attuale cliché culturale, dovrebbe rispondere a parametri formali che, in realtà, vanno bene per la giovane età ma quando si è avanti negli anni i continui trattamenti estetici appaiono, decisamente, come una caricatura. Si pensi, al contrario, alla piccola madre Teresa di Calcutta che con il suo volto così increspato e fragile, sprigionava una singolare e luminosa bellezza.

Non siamo fatti per essere compiuti ma per rimanere in cammino gli uni insieme agli altri e non ci sarà bellezza fino a quando si vive da avari secondo uno spirito conservativo perché mancherà sempre qualcosa e l’esistenza non è questione di misure o di calcoli.

Ma quale bellezza e gioia interiore può esprimere un’esistenza organizzata sulla menzogna e sul nascondimento? Il tornaconto sarebbe una profonda tristezza unita ad un senso di solitudine e di frammentazione infinita.

C È quello che accade quando si scorge un ramo di mandorlo in fiore allo spegnersi dell’inverno o  quando si viene rapiti dal profumo di gelsomino che si spande in primavera o, ancora, quando ci si immerge nel mare di maggio nel mentre che si sta aprendo la bella stagione.

Gratitudine è respiro e gioia ma ciò è possibile quando ci permettiamo di essere autentici esprimendo il bisogno dell’altro, perché nessuno può bastare a se stesso.

Ciascuno trova quel che attende e ogni nuovo giorno può essere inedito se si rimane aperti alla meraviglia e cioè allo stupore generato dalla bellezza che ci sorprende.

La gratitudine, in fondo, è la condizione d’animo che rivela il passaggio alla vita adulta perché si rimane figli fino a quando si continua a rivendicare qualcosa del passato ma senza riconoscere il dono del presente. C’è chi sceglie di vivere di rimpianti per ciò che non ha ottenuto allora e, dunque, non riesce a cogliere l’opportunità propria del quotidiano. L’irriconoscenza che ne consegue, chiude nel risentimento mentre la gratitudine apre al dono da condividere.

Quello che contempliamo ci trasforma e la bellezza è, prima di tutto, una questione interiore, permette di vedere oltre le apparenze dando valore all’essenziale che per altri non conta nulla.

Se pensiamo al processo di rigenerazione che sta attraversando il rione Danisinni, periferia storica nel cuore di Palermo, a differenza di chi lo aveva cristallizzato in uno stigma sociale che lo escludeva dal circuito cittadino, la comunità locale ha continuato a nutrire una visione di bellezza che, man mano, è diventata capace di contaminare e di rivelare un’oasi campestre con un paesaggio sonoro di speciale incanto per l’intera Città.