Libertà è una parola parecchio equivocata ai nostri giorni, al punto da essere spiegata con lo slogan “la mia libertà finisce quando inizia quella altrui”, che traduce un modo giuridico di intendere i rapporti umani, senza lasciare spazio alla libertà di superare i limiti del calcolo e della convenienza.

Secondo la logica dei consumi la libertà deve essere orientata dall’appagamento dei propri impulsi e, sebbene questo porti ad un controllo schiavizzante in base alle spinte del mercato, ciò viene camuffato da una sorta di emancipazione rivoluzionaria che traduce la libertà nell’assenza di scelte definitive.

Anche il criterio “ama e fa ciò che vuoi” viene frainteso in quanto si riduce l’amore al piano emozionale del momento e, così, si legittima il narcisistico uso dell’altro che, a proprio piacimento, segue l’imperativo dell’usa e getta.

Ascoltando quotidianamente le storie ferite da simile prospettiva, che genera continue dipendenze e biografie frammentate, mi tornano alla mente le parole di Stefano Rosso che nella canzone “Libertà… scusate se è poco“, con la satira tipica dei suoi stornelli, affermava: “Libertà quanto sei cambiata, quasi quasi penso che non eri tu”!

A distanza di oltre quarant’anni,  credo che il bisogno di riappropriarci del senso della libertà e della custodia civile di questo valore sia priorità per i nostri giorni in cui assistiamo ad una continua proposta di cambiamento di visione e di rilettura della felicità umana. Tale ideale, a mio avviso, porta il sapore di quel modello che Giorgio Gaber, nel “Conformista”, descrive come “un concentrato di opinioni che pensa per sentito dire da buon opportunista”.

Una libertà, dunque, intesa come adeguamento alle richieste del potente di turno e, cioè, alle mode sociali per non rimanere esclusi e così lasciarsi omologare per mantenere il diritto ad esserci. Si pensi, ad esempio, il sistema di credito sociale adottato in Cina quale strumento di controllo e di valutazione delle persone. Attraverso centosettanta milioni di telecamere, già collocate in tutto il Paese, i cittadini vengono monitorati e orientati a comportamenti “ammissibili” dallo Stato o, diversamente, gradualmente esclusi da servizi e dalla vita sociale. La libertà d’informazione e la capacità critica della popolazione viene, così, coartata fino a rendere invisibili quanti continuano ad esprimere un pensiero divergente.

Per quanto il sistema cinese possa sembrare parecchio lontano dalle nostre regole comunitarie, in realtà, anche nella nostra nazione assistiamo ad una metodica opera di anestesia delle coscienze che procura una diffusa indifferenza alla partecipazione politica e alle ingiustizie che si perpetrano sotto gli occhi di tutti.

I tagli sul piano della salute e della formazione, ad esempio, escludono intere fasce di popolazione dalle cure basilari che garantiscono il diritto al futuro e alla conoscenza. Viene legittimata anche la chiusura delle frontiere procurando la morta di decine di migliaia di persone a cui viene negato il soccorso in mare, giustificandosi con ragioni di sicurezza e di garanzia del lavoro locale.

La confusione raggiunge perfino gli apparati dello Stato che dovrebbero garantire la democrazia e l’informazione arrivando a sostenere che la pseudo trattativa Stato-mafia avrebbe avuto senso per fini solidaristici e così evitare ulteriori danni all’ordine pubblico e alla sicurezza della collettività!

Noi che abbiamo respirato il clima irreale della Palermo degli anni ’80 e ’90 ci rendiamo ben conto che quando si parla di “misteri” nella storia del nostro Paese, allora, la libertà viene ancora attaccata amplificando il fragore delle detonazioni di quegli anni.  

La mancanza di politiche sociali volte alla promozione del bene comune con reali azioni di inclusione ed integrazione di tutti, determina sempre maggiore marginalizzazione e devianza procurando uno stato di incertezza e sfiducia nelle istituzioni, ne consegue un crescente disinteresse e rassegnazione nella partecipazione attiva alla vita pubblica.

Riteniamo, dunque, che è decisivo riappropriarsi della libertà quale scelta di una direzione e capacità di custodire la causa per la quale, attraverso sacrificio quotidiano e pagando in prima persona, è possibile contribuire al bene e alla crescita del nostro mondo. La libertà, secondo questa prospettiva, è intrinsecamente relazionale e abbisogna del movente dell’amore perché altrimenti non troverebbe senso.

La libertà che ha fatto sì che magistrati come Falcone e Borsellino o sacerdoti come Pino Puglisi o Peppino Diana o imprenditori come Libero Grassi andassero avanti malgrado la minaccia di morte.

Si va avanti nel custodire la dignità del proprio lavoro perché si crede nella libertà e questa è un valore comunitario e mai solo individuale. È il motivo per cui quel primo maggio del 1947 duemila lavoratori si riunirono a Portella della Ginestra per celebrare la festa dei lavoratori e manifestare contro il latifondismo e a favore dell’occupazione delle terre.

Il Vangelo di questo giorno (Gv 10, 1 – 10), attraverso l’immagine del bel Pastore che si prende cura del gregge, rivela cosa significhi realmente custodire la libertà altrui. Gesù si manifesta quale porta per uscire dal recinto, da tutti quei luoghi che vorrebbero svilire ed imprigionare la dignità umana.

Recinto era anche quello del tempio che faceva della religione uno strumento di potere per soggiogare e sfruttare il popolo. L’immagine è significativa perché Gesù la equipara a quella dei mercenari che fuggono quando è a rischio la loro vita a motivo dell’aggressione dei lupi e, quindi, non amore per il gregge.

Lui invece è Pastore e si fa porta per aprire la strada verso il nutrimento e l’espressione. La via è tracciata dalla sua stessa vita donata per scardinare ogni tipo di oppressione e di male.

Gesù racconta di come le pecore lo seguono perché riconoscono la sua voce, è il linguaggio dell’amicizia perché si cammina con chi si ama e da cui ci si sente protetti. Non più la grammatica del calcolo o della convenienza ma della fiducia e della gratitudine, è questa esperienza che conduce verso la libertà.

La libertà, dunque, è solo generativa, dona vita e non la toglie, restituisce visione e capacità di sogno. È libero chi rimane in ascolto del sogno altrui.