Sappiamo che la conoscenza scaturisce dall’ascolto sebbene la cultura contemporanea voglia dimostrare che il primato va dato alla vista e, dunque, a ciò che attrae.

Il mercato dei consumi regge la sua proposta sull’immagine e, dunque, su spot accattivanti e capaci di suscitare desiderio, ed è perciò che spinge a sedare l’ascolto e la capacità riflessiva al fine di stimolare la curiosità verso ciò che in modo suggestivo appare!

Anche la percezione che abbiamo di noi stessi è stata ridotta a culto dell’immagine e alla necessità di rispondere a certi parametri di mercato per piacersi. Molte malattie dell’anima sono indotte da questa pressione che disumanizza rendendo le persone schiave del prodotto di turno.

L’essere umano reso così vulnerabile, viene trainato da una parte all’altra dei centri commerciali, manipolandone i gusti, come se fosse un oggetto della compravendita equiparabile alla quantità di merce acquistata.

Quanto l’individuo perde la capacità di ascolto inevitabilmente si consegna a ciò che appare ed è la dinamica descritta nel racconto del peccato delle origini quando il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male viene presentato come prezioso per diventare altro da sé.

Ciò che non aveva alcuna importanza e che costituiva un limite per custodire l’esistenza, diventa il centro dell’interesse fino a non potere resistere dall’appropriarsi del frutto che non era stato donato. Ne deriva una ferita relazionale e una falsa percezione di sé e dell’altro, il donatore e cioè Dio, viene colto come un usurpatore e il dono quale oggetto da conquistare. Il cibo non è più da accogliere ma da rubare nel nascondimento e ciò che ne consegue è la vergogna e la fragilità nel riconoscersi!

Per accogliere in modo gratuito bisogna essere umili e lo stesso è necessario per rimanere nell’ascolto. Tale postura si oppone alla pretesa di comprendere ogni cosa senza attesa, come se il mondo circostante fosse da conquistare e tenere sotto il proprio controllo.

Proprio la parabola del seminatore (Mt 13, 1 – 23) che ci viene consegnata in questa domenica, racconta dell’agire di Dio e della risposta umana. Lui esce aprendo la sua comunione d’amore all’umanità tutta e il suo dono è sovrabbondante. L’incarnazione racconta già di questo mistero, Lui è venuto a dimorare in mezzo a noi, in ciascuno di noi, per condividere la sua esistenza.

L’immagine del seme che viene sparso su ogni superficie viene a rivelare questo desiderio che non usa calcoli, così come in Palestina la semina precedeva l’aratura con uno spargimento di semina senza precomprensioni.

Ciò che muta è la capacità di accoglienza dell’uomo, il seme è lo stesso ma senza spazio interiore non riesce ad attecchire e, dunque, portare frutto. L’intimo di ognuno può essere impermeabile come la strada, chiuso nelle proprie ragioni e pretese di conoscere per accogliere, di dominare per dare spazio. Ma la Parola abbisogna di fiducia e non di pregiudizi e pertanto viene strappata via dal primo dubbio insinuato da chi vorrebbe mostrare una realtà diversa.

C’è una lotta interiore che appartiene alla vita spirituale ma che rimane sconosciuta alla maggioranza dei cristiani come se la vita di fede fosse un dato acquisito una volta e per tutte, magari al termine dell’itinerario di iniziazione cristiana prima dell’adolescenza.

Molti si limitano ad un’accoglienza euforica limitata all’ebrezza di un momento e, quando arriva la prova, ecco che viene a morire per mancanza di radice. È una esperienza sommaria della Parola che pur suscitando attrazione non supera la luna di miele.

Ancora, la Parola soffoca così come una pianta tra le spine quando l’esistenza rimane aperta ai compromessi. Ciò accade quando ogni cosa viene posta sullo stesso piano senza dare priorità alla Luce che scaturisce dall’ascolto della Parola. Ansie e preoccupazioni sono sintomo di questo mancato affidamento e, perciò, la Parola non ha lo spazio per dimorare.

Il terreno buono è il cuore accogliente ossia capace di lasciarsi guidare dalla Parola di vita e quando entra trasforma rendendo feconda l’esistenza. Il frutto è già benefico per il terreno su cui cresce la pianta, in quanto il frutto è più del seme perché cresce con l’apporto della terra, dell’acqua e del sole. Quella parte di frutti che cadono sulla terra la renderanno più feconda e ricca.

Lo stesso dicasi per l’ascolto in quanto trasforma la persona che riceve un nuovo insegnamento e, man mano, trasforma le sue abitudini portando a condividere rendendo gli altri partecipi di quanto ha scoperto. Dall’ascolto nasce la vera condivisione. Quando si parte dal fare, invece, si rischia di legare a sé l’altro e si creano continue idealizzazioni e puntuali svalutazioni del dono.