Credo che la sfida più grande del nostro tempo, quando l’individualismo viene propinato quale stile di vita, sia la sfida della comunione e, dunque, dell’accoglienza. La logica del conflitto (ben diverso dalla dialettica) e della competizione indebolisce intere comunità distraendo dalla meta, fino ad impegnare la maggior parte delle energie in continue disquisizioni senza alcuna evoluzione (tipico della maggior parte dei dibattiti politici dei nostri giorni).

Nella Parola di questa domenica la comunione e l’accoglienza appaiono necessariamente unite: senza accoglienza autentica, infatti, non è possibile fondare comunione proprio perchè le relazioni umane abbisognano di uno spazio di accoglienza che ne fondi la possibilità. Ma, precisiamo, a permettere ospitalità e comunione è il primato dato all’ascolto dell’Altro.

Senza ascolto, infatti, si rimane chini su se stessi e si finisce per valutare ogni cosa secondo criteri di “convenienza”. Senza ascolto non può esserci spazio per il forestiero. Senza ascolto uomini come Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta, così come abbiamo commemorato due giorni fa, non avrebbero trovato ragioni per spendersi sino alla fine anche quando la loro vita era visibilmente minacciata.

Chi decide di chiudersi nelle proprie opinioni e preconcetti, senza ammettere reale confronto, è come la canna sbattuta dal vento, manca di profondità e finisce con lo sciupare la propria esistenza. Chi sente il vissuto del prossimo e lo fa risuonare dentro di sé, invece, arriva a consumarsi sino al dono totale senza più conservare nulla per sé!

Proprio oggi ricordiamo l’assassinio di Boris Giuliano, il capo della Mobile di Palermo, ucciso quarant’anni fa. Insieme a tantissimi altri martiri della nostra terra, non ultimo don Pino Puglisi, ha speso la vita affinchè noi potessimo avere la vita.

E tutto ciò si può dire anche di tanta gente che nell’umile quotidianità resiste alle insidie del male mantenendo una vita dignitosa e onesta là dove si trova. Il volto di una casalinga che si dedica alla cura della propria famiglia partendo dal constesto vitale e dal clima relazionale all’interno della casa esprime tale bellezza, così il volto di un operatore ecologico che si impegna nel suo lavoro per dare decoro alla propria Città. Per ognuno l’esistenza è occasione per vivere la profondità e la Scrittura ci ricorda che Dio visita l’essere umano lì dove abita.

È così che troviamo Abramo visitato a Mamre e, ancora, Marta e Maria nella loro casa a Betania. Il tempo dell’euforia spirituale e dell’eccitazione sensazionale vorrebbe farci credere che è necessario andare chissà dove per incontrare il Cielo, mentre l’esperienza biblica ci rivela che il Cielo non ha confini se l’uomo in terra diventa accogliente.

Troviamo Abramo che dopo più di vent’anni di attesa alza finalmente lo sguardo e vede tre uomini dinanzi a lui. Lui potrà accoglierli solo quando alzerà lo sguardo, non sappiamo quanto i misteriosi ospiti, espressione della presenza di Dio, hanno atteso ma ci viene detto che lui li scorge solo quando volgerà lo sguardo.

È l’itinerario spirituale di oguno: fino a quando si cerca di piegare Dio alle proprie aspettative e pretese, Lui rimane il grande “assente”; quando, invece, inermi si innalza a Dio la preghiera di affidamento ecco che Lui finalmente può rispondere.

Abramo si interesserà dei tre ospiti cogliendone il bisogno e l’ospitalità e sarà per lui rivelazione della discendenza, la sua vita potrà essere feconda perchè ha accolto e cioè ha condiviso del suo. È spezzata la logica di inimicizia che reggeva l’agire di Caino il quale non era stato disposto ad offrire al Cielo ciò che gli era più prezioso.

Nella pagina del Vangelo, ancora, troviamo Marta che accoglie Gesù ma il suo è un affaccendarsi che non lascia spazio all’ospite e arriva persino a rimproverarlo così come ad accusare la sorella Maria. L’accoglenza è smentita quando non viene abbandonata la logica di competizione, senza visione di fraternità non può esserci autentico spazio per l’altro. L’eventuale parvenza sarà funzionale a criteri di “convenienza”.

Marta pretende di accogliere mantenendo le proprie posizioni senza alcuna possibilità di cambiamento. Maria, piuttosto, si porrà ai piedi del Maestro disponendosi in ascolto e, dirà Gesù, quella è la parte buona su cui fondare tutto il resto.

Senza spostare il baricentro oltre se stesso, l’essere umano rimarrebbe un giustizialista capace di continue sentenze senza però compromettersi in prima persona. Abbiamo bisogno di una fede capace di consegnare tutto per accogliere il Tutto, una fede che parta dall’esperienza e non dalle belle dottrine, una fede che ci fa lievito e sale in questo mondo. È quel nascondimento della gente comune, da non confondere con l’omertà, e che fa spazio e che gioisce per la riuscita altrui.