Le festività natalizie a Danisinni si sono concluse con lo spettacolo “L’Ancilu e i vacabbunni” realizzato dal DanisinniLab a cura di Gigi Borruso. Il cuntu natalizio narrato da chi guarda il mondo da dietro una rete, simbolo di tutti i muri divisori e discriminatori del nostro mondo, ha espresso plasticamente il senso della natività quale luogo di accoglienza di tutti, prossimità del Cielo fino ad arrivare agli ultimi della terra.

Infatti, abitare la storia cavalcando l’onda del momento è ben diverso dall’attraversarla mantenendo la fiducia nel Cielo. La prospettiva dei primi cercherà di misurare la convenienza di turno e, poi, scegliere in base all’opportunità fino a generare scarto umano e ambientale, invece quella dei secondi rimarrà in ascolto aldilà delle apparenze o delle sconfitte subite custodendo, così, la relazione con il Cielo.

Lo sguardo di ciascuno, dunque, rivela dove sta il cuore ossia dove poggia la propria fiducia. Sebbene la fede appartenga ad ogni essere umano è diverso il ricercare un riscontro immeditato – o comunque in termini di potere, ricchezza o successo che portano all’arrivismo competitivo e all’inimicizia – dal mantenere il senso di gratitudine e di ascolto che porta a vivere con libertà e gratuità il quotidiano, capaci di condivisione e cura di sé e del prossimo. Due diverse posture esistenziali che portano ad un’esperienza di vita diametralmente opposta.

La festa del Battesimo del Signore che celebriamo oggi mostra come è possibile sperimentare una vita che scaturisce dal Cielo. Il luogo in cui si realizza la scena evangelica è il fiume Giordano che per Israele evocava il passaggio nella terra promessa al termine dell’esodo. Una linea di confine tra il prima e il dopo, tra lo stato di assoggettamento in Egitto e il riconoscersi popolo di Dio e da Lui condotti verso la liberazione.

Un profeta, Giovanni Battista, aveva riportato Israele a quel fiume per  il bisogno di conversione e cioè di riorientare la propria vita verso la meta. L’appartenenza a Dio, infatti, era stata tradita dalla pretesa di imporsi su altri popoli attraverso stratagemmi politici e compromessi di varia natura che, certo, avevano negato la fiducia nel Cielo. Lo stesso di quello che accade oggi quando si innalzano muri con una motivazione difensiva ma che, in realtà, diventano azione di occupazione offensiva.

In questo scenario si presenta Gesù mischiandosi con i peccatori e cioè con l’umanità che aveva rabbuiato la propria storia chinandosi sul male. Lui si fa compagno e chiede di essere immerso con quella gente per farsi carico delle loro ferite.

Il peccato, infatti, costituisce una ferita esistenziale, procura una sofferenza profonda perché priva della luce e cioè della bellezza che rende felice ogni persona: l’amore. È come una barriera invalicabile che abbisogna del chinarsi della Luce per smascherare tutto il suo carico di menzogna. Per quanto un essere umano si sforzi di ottenere felicità, nulla può se rinuncia ad amare e questo lo si impara nutrendo la relazione con il Cielo.

La fede in se stessi quando si trasforma in egoismo narcisistico condanna alla profonda solitudine interiore e lo stesso vale per chi si consegna totalmente all’altro idolatrando una persona o un progetto di vita. La ricerca di psicoterapie o pratiche meditative volte alla pacificazione del proprio essere si rivela illusoria quando l’armonia con se stessi vorrebbe sostituire la relazione con Dio. Piuttosto quell’esperienza potrebbe costituire un passaggio propedeutico al cammino spirituale volto alla profondità del vivere ma, certo, uno psicoterapeuta non potrà sostituirsi ad un maestro spirituale anche se questi sono davvero rari ai nostri giorni!

L’esperienza del battesimo cristiano costituisce un immergersi nella vita divina e cioè un entrare nella storia da figli di Dio. Una rigenerazione che è frutto di l’esperienza di consegna che inizia con l’incarnazione, passa per Betlemme, il Giordano e tutta la Galilea fino ad arrivare a Gerusalemme dove si compie il gesto di donazione totale rappresentato dalla crocifissione.

Un percorso che è mosso dall’amore e che non esita ad arrivare sino alla fine per portare a compimento il dono totale: il Dio che si fa uomo permette all’uomo di accogliere la vita divina fino ad essere riconosciuto figlio di Dio.

È così che il “farsi carico” da parte di Gesù è espressione della prossimità di Dio che non abbandona i fragili nelle fatiche di questo mondo ma continua ad offrire un’occasione di riscatto rivelando che la vittoria non appartiene ai forti ma agli umili che continuano ad amare nonostante tutto.