La storia pare scritta dai vincitori e anche i film sono guardati con l’attesa di chi sarà il vincente. La sensibilità umana fa fatica ad uscire dal parametro di lettura che vede contrapporsi vittoriosi e perdenti, superiori e inferiori. Fino a quando non maturerà un criterio per vivere autenticamente la pace non si terrà conto delle fasce di popolazione più deboli e non ci sarà vera custodia dell’ambiente in cui viviamo.

Essere vincitori a discapito di qualcuno è un atto di viltà e noi viviamo in un clima competitivo che ha strappato armonia nei contesti lavorativi e ha fatto dei ruoli una funzione di potere e di prevaricazione per boicottare la crescita altrui. Quanto baronaggio nelle università dove il sapere non è trasmesso in modo disinteressato coltivando il potenziale degli alunni o degli assistenti, e dove l’abilità altrui viene colta con timore e trattata con indifferenza concorrenziale.

Il nostro tempo ha assimilato il criterio del vincente a quello di efficacia e di successo, tutto ciò ha impoverito il tessuto relazionale e ha fatto dei luoghi lavorativi degli spazi anonimi dove a ciascuno è stato assegnato un numero anziché il proprio nome. È la logica del recinto in cui la vittoria viene intesa come difesa di ciò che si è conquistato, escalation di potere che porta a trasformare i confini in muri sempre più alti, incapaci di interscambio se non per ragioni economiche e dunque di potere.

Il motto che regge questo sistema è il “mors tua vita mea” dove il valore dell’esistenza è dato dalla convenienza di turno!

Eppure l’umanità pare che cerchi la pace sebbene tante energie e risorse ogni anno vengono investite per gli armamenti e le relative minacce di guerra. Il nostro Paese solo nel 2022 ha investito quasi ventisei miliardi di euro per le spese militari di cui otto sono stati destinati ai nuovi armamenti.

La brama di una terra con le sue ricchezze o del potere per soggiogare un altro popolo, considerato avversario, sono i moventi principali per intraprendere una lotta intestina. E questo fare belligerante lo troviamo anche all’interno delle stesse famiglie dove gli interessi di turno possono spezzare anche i legami più profondi.

Il senso della pace, dunque, sfugge ai più e diversamente emerge una ricerca eccitante dell’alterco, della contesa gratuita fondata, magari, su un “diritto di precedenza” non rispettato come accade nelle strade della nostra Città. Appare come un gusto sadico dove alcuni percepiscono la propria identità in rapporto alla sottomissione altrui e al senso di onnipotenza esercitato: si pensi al potere che diversi uomini pretendono di esibire sulle rispettive compagne o, ancora, a quei datori di lavoro che trattano i propri dipendenti come fossero schiavi.

Il vincitore, dunque, perde il senso della prossimità e l’altro è escluso o soggiogato. Assume l’atteggiamento di vincitore uno Stato che legittima il caporalato o che chiude i confini lasciando morire nel mare migliaia di persone perché prima bisogna pensare a se stessi, un governo che non tiene conto delle fasce di popolazione più fragili e continua a tassare senza misura chi avrebbe bisogno di un supporto per potersi esprimere. La stessa logica è quella di chi non si prende cura del futuro delle nuove generazioni e, dimentico, pensa solo al benessere immediato.

La visione della pace, allora, è compromessa dalla crisi dell’umano, e affinché si possa parlare di vera pace è necessario riconoscere a tutti pari dignità e pari diritti, aldilà delle ricchezze vantate. Anche la pax romana, tanto mitizzata, non era altro che una tregua fra due guerre, dovuta alla resa perché sconfitti o dominati dalla paura. La pace ascritta all’esercizio del potere, riteniamo, non è vera pace e non è neppure vittoria.

È necessario chiedersi, d’altronde, per quale causa si sta spendendo la propria vita e cioè quale battaglia si ritiene necessario perseguire, perché se il primato è dato alla brama di potere o all’accumulo di ricchezze, allora, la gratificazione personale sarà attribuita alla prevaricazione e non potrà esserci spazio per la cura delle relazioni di pace.

Senza perdono non è possibile cambiare lo scenario ma è capace di perdono solo chi è libero dalla ricerca di grandezza e ammette la propria fragilità così come quella altrui. Dobbiamo guarire tutti da un facile giustizialismo che, comunque, ci fa passare dallo stato di vittime a quello di carnefici e che, per questo, non porta ad alcuna evoluzione.

La vera sfida, oggi, è lottare per rimanere in relazione con gli altri senza avanzare un prezzo per la ferita ricevuta.