Ciascuno è figlio di una storia e, al contempo, è chiamato a generare una storia nuova, non in termini individuali di autoaffermazione ma quale frutto delle relazioni di cui si è preso cura. È la testimonianza a generare cambiamento e ad approfondire quel che veramente siamo.

La storia dell’umanità si evolve attraverso il passaggio di testimoni e il livello di civiltà di un Paese è frutto di quanti si sono spesi per la causa comune e la crescita collettiva. Quando una società si chiude nell’interesse individuale allora si impoverisce e i diritti dei più piccoli, man mano, finiscono dimenticati.

È il coraggio, piuttosto, a rendere feconda la terra e senza il dono disinteressato di molti non avremmo avuto la libertà di questo nuovo millennio. Tale libertà non è mai dettata dall’uso del potere per affermare le proprie idee sugli altri ma dalla capacità di permettere la partecipazione di tutti al processo di crescita che si arricchisce attraverso l’incontro ed il confronto.

Ciò però non è sufficiente, l’essere umano può gradualmente regredire e il sangue sparso da testimoni come, ad esempio, Falcone e Borsellino o don Pino Puglisi e tanti altri nella nostra Città, potrebbe spegnere i suoi frutti. Questo accade quando le generazioni che seguono non vivono l’occasione della vita e ripiegano nella ricerca di autocelebrazione e compiacimento.

Anche la logica omologante degli ultimi anni è stata deleteria perchè ha preteso di abolire le differenze e la dialettica culturale assumendo a valore la neutralità. Quando diventiamo tutti uguali diventiamo tutti spettatori!

In realtà siamo tutti chiamati alla testimonianza e cioè a non vivere per noi stessi ma scoprire la chiamata che fa della nostra vita una missione unica e insostituibile. È l’ascolto di un Altro a permetterci di rispondere e non tanto le competenze personali o la bravura dimostrata.

Il testimone dunque non cerca il compiacimento e non ha come criterio di discernimento il consenso altrui. A volte reca scandalo perchè tradisce le aspettative procurando una distonia cognitiva, ma è fedele ad una ricomprensione di sé e della realtà in quanto si lascia provocare dalla storia.

L’esistenza è un affare relazionale ed entrando in rapporto con il Cielo a ciascuno è dato di intuire la propria vocazione. Certo, anche chi si professa ateo può compiere la sua bella missione di vita e, più o meno consapevolmente, rispondere alla bellezza che trova iscritta nel profondo del cuore, è per quella che siamo fatti. Noi diventiamo quel che già siamo ma ciò è possibile nella misura in cui il nostro quotidiano rimane aperto all’interazione con il prossimo e con la storia in cui siamo immersi, altrimenti l’approfondimento del vivere si rivela una povera illusione evanescente.

Nell’ebraismo troviamo i profeti che non testimoniano se stessi ma rivelano il pensiero di Dio. Allo stesso modo Gesù farà conoscere il volto del Padre e non cercherà la gloria degli uomini, piuttosto si consumerà sino alla fine rivelando così la misericordia di un Dio che desidera condividere la vita comunionale con l’intera umanità.

La Sua testimoninanza è stata consegnata agli apostoli che, pure loro, hanno versato il sangue rendendo feconda la chiesa delle origini. Il martirio, dunque, traduce la testimonianza e questa viene espressa nella fragilità più assoluta. Pietro diventerà testimone solo quando riporrà la spada e avrà il coraggio di lasciarsi guardare dal Maestro, dopo averlo rinnegato tre volte. È l’uomo disarmato che finalmente scoprirà l’incontro con l’amore autentico e diverrà capace di donare tutto.

Lo stesso accadrà al grande e temuto Paolo il quale scoprirà la sua forza nella debolezza dopo essere passato per la cecità. Nella persecuzione e nel martirio la Chiesa troverà le sue radici custodendo l’essenza della fede. Nessun formalismo ma il desiderio di potere condividere il Pane del Signore anche rischiando di morire.

È il riconoscersi amati a portare al dono di sé, la vocazione cristiana procede per fascino e non per costrizione. Altrimenti si ridurrebbe ad una obbedienza formale alla legge. La testimonianza, dunque, non ammette eroismo, Gesù non è un eroe da imitare, un mito con i suoi fans, ma è il Figlio di Dio che si è fatto debole per donarsi all’umanità intera. Il discepolato non procede per imitazione ma per accoglienza del dono: è solo quando ti senti amato che può muoverti verso il dono totale.

È per lo stesso motivo che i medici e tutto il personale ospedaliero che si spendono senza misura in questi giorni non desiderano essere additati come “eroi”, la loro è una relazione di cura e si sentono chiamati ad amare con tutte le loro possibilità quanti sono loro affidati. Ed è per lo stesso motivo che crollano e piangono quando un paziente non ce la fa e lo vedono spirare. Il testimone è capace di pianto così come di gioia e gratitudine. È consapevole che da solo non può riuscire, sa consegnare le sue lacrime perchè abbisogna di consolazione ed esprime gratitudine per i doni e i successi ottenuti, perchè sa che la fonte rimane da un altra parte. Il testimone ha chiaro che a ciascuno è dato essere strumento di Bene in questa vita.   Direbbe Hannah Arendt: “Siamo nati per incominciare”.