Siamo tutti in cammino e ciascuno trova ciò che cerca, la narrazione biografica di ogni essere umano dipende dalla meta che si persegue.

Per spiegare questa prospettiva la Scrittura usa un’espressione che, sebbene apparentemente molto truce, in realtà rivela la via per raggiungere la felicità: “maledetto l’uomo che confida nell’uomo” (Ger 17, 5)!

La maledizione non è mai opera di Dio ma è conseguenza della direzione intrapresa e cioè dell’orizzonte che si persegue. Un itinerario di vita rivolto al potere, al vivere per se stessi e cioè al successo e alle ricchezze per ergersi al di sopra degli altri, porta ad un malessere interiore appesantendo l’animo fino a generare inimicizia e competizioni.

“Confidare nell’uomo” è la postura propria delle lobby di potere dove i favori reciproci diventano la garanzia per sentirsi forti e, così, appagare la propria esistenza.

“Confidare nell’uomo” è l’esperienza idolatra di chi vive in funzione del riconoscimento e della stima altrui e, dunque, pone la sua attenzione alle apparenze e alle mode di turno mutando veste e pensiero a seconda della convenienza del momento.

“Confidare nell’uomo” equivale a ripiegarsi su se stessi e cioè nutrire a dismisura il proprio ego e, di conseguenza, vivere di paura per la critica altrui. L’idealizzazione di sé, infatti, rende molto vulnerabili e ipersensibili al giudizio delle folle.

“Confidare nell’uomo” non va frainteso con una sorta di sfiducia nell’umanità, piuttosto, fidarsi è possibile se il punto di partenza è Dio!

“Confidare in Dio” significa riconoscere che la propria esistenza non è casuale e che il male non appartiene alla verità dell’uomo. Significa scoprirsi desiderio di Dio, amati e per questo guariti dal Suo dono e non dai propri meriti o dalle pretese di perfezione.

“Confidare in Dio” significa aprirsi alla Sua custodia e dunque rimanere in ascolto della Parola di vita, quella che permette di discernere e orientare il cammino quotidiano.

La Scrittura ribadisce che questo atteggiamento procura “beatitudine” cioè felicità profonda e intramontabile. È l’esperienza di luce e pacificazione che attraversa quanti mantengono lo sguardo rivolto al Cielo e affrontano il quotidiano senza fuggire dalle prove e traversie che spesso cercano di deviare il cammino volto al bene.

Chi mantiene tale direzione dilata il cuore e si apre all’umanità tutta, vivere di gratitudine spegne ogni avarizia nel dono di sé. Non si tratta di fare regali o donare dei beni ma, in primo luogo, il dono si traduce nel servire e nello spendersi per il prossimo, nel costruire rapporti di vicinanza e di amicizia, nel farsi strumenti di pace.

L’indifferenza propria di chi confida nell’uomo continua a ferire il nostro tempo e, infatti, malgrado la pandemia in corso scopriamo trame di guerra che assediano i confini tra i diversi stati e i monologhi tra i governanti. E’ così che ancora scopriamo nel nostro mare Mediterraneo più contingenti militari che pescherecci, più navi da guerra che da crociera.

Abbiamo proprio bisogno di scoprire la gioia del vero “confidare” e, questa, nella pagina delle beatitudini ci viene indicata come la povertà per il regno dei cieli. Si tratta dell’esperienza di chi sa di appartenere al Paradiso e, perciò, vive dell’essenziale perché tutto il resto perde di valore: l’unico tesoro che conta è custodire l’amore di Dio.

Custodisce chi si lascia amare consegnando ogni carico e fa dell’esperienza dell’Amore l’occasione per consumarsi, senza tenere niente di proprio.

Custodisce il dono del Cielo chi lo scopre come il tutto della propria esistenza e lo spende senza riserve perché l’amore vive di amore.