La relazione che cura è quella che ci rende profondamente umani, curare è molto di più che medicalizzare e la prima fonte di guarigione si deve ai rapporti interpersonali.

Ancora più del cibo è necessario il nutrimento affettivo e cioè il prendersi cura che rivela l’accudire facendosi prossimi. La cura è possibile perché siamo umani e dunque fragili, bisognosi di un altro che ci riconosca e si accorga di ciò che abbiamo bisogno.

Non ha niente a che fare con l’infantilismo di molti adulti o con il vittimismo di chi cerca continue attenzioni, e non si tratta neppure di compiacere continuamente l’altro cadendo in una sorta di onnipotenza perché troppo buoni. Chi si prende cura, invece, sa dire di no e si rifiuta di dare quel che non serve veramente, sa sostenere la distanza se questo è necessario.

In un tempo in cui viviamo un diffuso narcisismo con tratti di onnipotenza delirante è indispensabile non lasciare scivolare l’accudimento in una dipendenza tossica che, alla fine, finisce con lo svuotare fino all’esaurimento anziché nutrire del reciproco dono. Il narcisista, infatti, ammalia con le parole ma in realtà al centro pone solo se stesso e considera l’altro, che di lui si prende cura, un mero oggetto del proprio appagamento.

Quando, piuttosto, la relazione è connotata dal dedicarsi del tempo senza la ricerca di un “utile” in modo spontaneo e gratuito, ecco che allora troviamo il nutrimento proprio dell’amicizia, relazione di cura per eccellenza.

Si sta bene con gli amici e ciò perché non si ha bisogno di finzione o di difendersi dal giudizio altrui, l’amico conosce come si è fatti e sa accogliere le lacrime sostenendone la consegna. Si tratta dei rapporti privi di calcolo o logica di possessività, capaci di resistere alla distanza e al tempo trascorso.

L’amicalità, intesa come il prendersi cura del prossimo, può diventare uno stile di vita e cioè un modo di porsi nel quotidiano rimanendo in ascolto con fiducia e senza pregiudizi. In molti uffici, ad esempio, questa postura esistenziale fa la differenza, si crea un clima disteso anche se c’è una fila in attesa, e si genera gratitudine e non rivendicazione. Molte persone, impegnate in lavori burocratici, vivono così, quando dietro una carpetta tengono conto che c’è una famiglia che vive nel bisogno e si interessano a provvedervi con diligenza anche se i nomi appaiono sconosciuti.

Scegliere di non nutrire inimicizia è un atteggiamento interiore, dunque, e si rivela nella guida in mezzo al traffico, nel dare spazio all’altro, nella disponibilità al servizio piuttosto che alla pretesa. Una postura esistenziale che tesse trame di umanità e che anima i processi di rigenerazione all’interno delle comunità. Se un’impresa, ad esempio, non tiene conto di questo aspetto quale fattore di qualità, rischia di non evolversi e di inaridire quanti vi operano.

Tale prospettiva procura visione andando oltre all’immediato, infatti, il prendersi cura considera le conseguenze delle azioni e mai l’utile di un momento. Sarebbe una contraddizione credere di provvedere ai bisogni di una popolazione ferendo l’ambiente.

È il ricatto, invece, che parecchie multinazionali pongono in essere attraverso la gestione dei posti di lavoro senza tenere conto dell’inquinamento prodotto. Pensiamo alla distilleria Bertolino nel paese di Partinico la quale dal 1984 provoca gravi inquinamenti delle acque reflue, per via dello scarico di vinacce esauste e di altre sostanze tossiche quali residui delle proprie lavorazioni, con il conseguente danno alla salute dei bambini e anziani nel comprensorio partinicese. O, ancora, all’ILVA di Taranto che dal 1965 continua a diffondere per aria diossina provocando un disastro ambientale che inquina le falde acquifere e procura centinaia di morti, ogni anno, per gravi malattie.

Se la politica non matura visioni di cura allora cadrà nel compromesso che fa precedere le finanze del Paese alla salute pubblica, sacrificando in modo particolare le fasce di popolazione più povera che accettano di vivere in condizioni lavorative e ambientali ad altro rischio, come gli abitanti del quartiere Tamburi di Taranto, pur di “sopravvivere”.

L’amicizia abbisogna di flessibilità perché la posizione statica perde di capacità di ascolto e si trincera nel pregiudizio che non permetterebbe il mettersi in gioco, compromettendosi, per l’altro. Questo atteggiamento comporta il consumarsi per qualcuno abbandonando il criterio di preservazione, dunque, si prende cura chi favorisce l’originalità altrui rimanendo aperto alla sorpresa.