Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità se davvero vogliamo contribuire a cambiare questo mondo altrimenti, lamentandoci soltanto, rischiamo di sciupare l’occasione che abbiamo per partecipare al cambiamento.

Dalla deresponsabilizzazione dipende la scorretta modalità di governare ed esercitare il potere sulla storia. Ancora oggi, ad esempio, quando la preparazione all’agire politico viene inteso come il presentare programmi estemporanei che non hanno alcuna preparazione dal basso e i governi partono da un’idea astratta di giustizia e di bene, magari facendo da cassa di risonanza al malcontento comune, si finisce con l’elaborazione di programmi totalmente privi di reale efficacia.

Misurare la forza politica in termini di audience o di follower può generare strumenti di potere che poco hanno a che fare con la cura del bene pubblico, e i continui scenari di guerra o la violenza mediatica che trasforma il confronto politico in talk show poveri di riflessione ne sono solo un sintomo.

Eppure il primo maggio, abbiamo la possibilità di sostare per riflettere sul lavoro, i diritti e l’uguale dignità sociale, perché ogni volta che la politica si sottrae al suo mandato qualcuno ne pagherà le conseguenze. Tra questi, in particolare, ci sono tutti i lavoratori su cui grava la mancanza di interesse per la filiera etica: in fondo il consumatore guarda l’apparenza del prodotto finito, senza rendersi conto di quanti volti sfregiati vi sono nascosti!

L’immagine biblica di questa domenica rivela un potere inedito rappresentato dall’Agnello che ha combattuto la buona battaglia consumandosi sino alla fine e, dunque, ha affrontato finanche la morte mantenendo il suo desiderio di bene per tutti. Il potere dell’agnello è da scoprire perché destabilizza la logica comune ed è necessario uscire dall’isolamento per accedervi.

Pietro, finalmente, scoprirà questa visione solo dopo essere entrato nell’esperienza fallimentare della morte del Maestro. Lui aveva sguainato la spada colpendo il servo del sommo sacerdote, quando erano arrivati per arrestare Gesù, e cioè sarebbe stato disposto a morire con la spada in mano ma il Signore gli aveva chiesto di combattere senza armi.

Dopo una notte di pesca andata male, quando era triste anche il ritornare sui propri passi alla ricerca di una mera consolazione china sul passato, ecco che l’incontro con il Risorto sconvolge la situazione. Gesù lo invita a gettare la rete dall’altro lato, invertire la prospettiva e soprattutto abbandonare i calcoli di prima. Il giorno non poteva essere fecondo dopo una notte infruttuosa eppure Pietro si fida della Parola.

Pietro è uscito dalla solitudine autoreferenziale, si è fidato di un altro ed è allora che il suo lavoro è diventato fecondo. È l’esperienza di chi scopre di non vivere per se stesso, la ricchezza di chi si riconosce amato dal Signore, gratuitamente e senza misura.

È allora che il Signore può affidargli la missione di pascere le sue pecore, il popolo di Dio che viene affidato alla cura paterna di Pietro. Su questa parola lui guiderà la comunità e servirà il popolo sino alla fine, infatti, anche lui attraverserà la morte consumandosi per amore.

Se la storia rimane feconda, nonostante tutto, è perché moltitudini continuano a spendersi sino alla fine donando la loro vita.

Proprio la nostra terra di Sicilia è bagnata dal sangue di tanti martiri e il nostro quotidiano diventa l’occasione per renderla più ricca.