Il processo di rigenerazione a Danisinni è partito dalla creazione di una Biblioteca di quartiere. Quando ci si interrogava sulle molteplici richieste del territorio, molte dettate da un assetto emergenziale, è sembrato opportuno andare oltre l’immeditato e rispondere con uno spazio di lettura e di pensiero indispensabile per favorire la crescita tanto auspicata. Leggere è un’arte raffinata, chi legge apprende e arricchisce il suo sapere perché condivide le esperienze altrui e, cioè, quanto è stato visto e maturato dall’umanità di altri luoghi e d’altri tempi. La lettura unisce storia personale e identità collettiva, e non secondo un criterio omologante ma di integrazione e di reciproca contaminazione. Cambiare punto di vista e porsi in ascolto della narrazione altrui è sempre un’occasione di confronto e, dunque, di crescita per una sintesi personale. Intendiamo la lettura che si distanzia dal nozionismo autoreferenziale, volto alla brama di potere sul prossimo e sulle cose, e che rivela la possibilità di incontro con l’altro sapendo di non bastare a se stessi.

Non si tratta neppure della lettura di un ebook che non permette di sentire la consistenza di un libro, il fruscio della pagine, la connessione tra ciò che precede e quello che segue. Il libro è polisensoriale mentre l’ebook rimane asettico e, piuttosto, il lettore ha bisogno di immergersi con tutti i suoi sentimenti e non solo del lucido raziocinio. La lettura, dunque, è metafora di un modo di stare nelle questioni della vita perché si potrebbe scegliere di subire gli accadimenti rimanendo passivi su un piano indifferente, interessati solo a custodire la propria quiete. E, oggi, di cercatori della propria convenienza ne incontriamo tanti, l’umanità è resa vulnerabile dalla spinta commerciale a trovare continui appagamenti e, così, organizzare un’esistenza attorno a se stessi.

Poi ci sono quelli che cercano la pacificazione interiore ingaggiando una pseudo-religiosità di stampo orientale dove sonori e respiro sono funzionali al culto di sé e a non lasciarsi inquietare dalle ingiustizie che li circondano. Legge chi entra nella vicenda umana scavando oltre le apparenze intrigandosi del travaglio di tanti che vengono a pagare il prezzo di un sistema costruito, a misura, dalla finanze e dai potenti di turno. Leggere è assumere un pensiero divergente che resiste alle spinte politico-economiche e che rivela una prospettiva altra, orientata a restituire capacità relazionale. Abbiamo bisogno di coltivare un pensiero divergente capace di critica rispetto all’omologazione culturale e che vede il tutto nel frammento superando la logica del calcolo e della convenienza. Per ritrovare autenticità e venire fuori da un diffuso perbenismo che priva il nostro mondo di umanità.

Numerosi conterranei ci sono di esempio in questa prospettiva, loro sono stati capaci di andare oltre le logiche della prudenza del momento e hanno rivelato visioni inedite e generative di cambiamento. Donne e uomini che si sono spinti controcorrente nel mentre che, i più, seguivano l’onda del momento per garantirsi una vita confortevole. Come non ricordare Rita Atria la quale ha combattuto contro una cultura che portava dentro di sé ed è riuscita, con grande coraggio, a sottrarsi al dominio del potente di turno, anche se poi, per la sua giovane età, è rimasta schiacciata dal carico di violenza che respirava attorno. O la prospettiva di Letizia Battaglia la quale ha saputo prestare il suo sguardo al mondo intero ritraendo scorci di una Palermo che, per molti, era ritenuta indicibile. E, ancora, la testimonianza del giudice Alfonso Giordano il quale, sapendo che i suoi colleghi avevano rifiutato di presiedere il primo maxiprocesso alla mafia, accettò l’incarico con l’umiltà di chi rimane fedele al proprio quotidiano consapevole che l’onestà non ha un prezzo.

Sono solo alcune figure che rappresentano un modo differente di fronteggiare le questioni della vita e di partecipare ai processi di cambiamento sporcandosi le mani, senza la paura di compromettersi per la causa del bene. Abitare il paradosso e rimanere nella propria missione anche quando tutto sembra perduto, è la grande sfida del nostro tempo. Significa disporsi in ascolto tornando a cercare nuove risposte, sostenendo il tempo dell’attesa e mettendo in discussione ciò che non è più necessario. Quello che poteva andare bene ieri, infatti, potrebbe rivelarsi inopportuno oggi ma per mantenere l’elasticità della lettura bisogna scrollarsi la logica della paternità delle opere e dell’idolatria di quello che si è realizzato. Difendere lo statu quo, perché “si è sempre fatto così”, è una grande piaga che boicotta lo sviluppo delle comunità. Le politiche sociali, i criteri urbanistici, la cultura d’impresa, le comunità educanti, hanno bisogno di una lettura che riconosca la preziosità di quello che altrimenti verrebbe scartato e considerato inutile. Quante potenzialità nelle fasce di popolazione più disagiate le quali attendono di essere valorizzate ed accolte nei circuiti di progettazione sociale della nostra Città. Pensiamo anche all’edilizia abbandonata, agli spazi chiusi da decenni che meritano recupero e una nuova destinazione.

Pure le imprese devono imparare a leggere riscoprendo il valore delle competenze tacite, quei saperi nascosti che costituiscono risorse preziose e, soprattutto, contribuiscono al clima armonico all’interno di un’azienda. Le comunità educanti sono il tratto distintivo del pensiero divergente, perché si fondano su un assetto circolare, e non verticistico, e a ciascuno è data la possibilità di una prospettiva per contribuire alla lettura collettiva dei processi educativi. Ripartire dall’ospitalità quando i criteri economici spingerebbero ad accumulare piuttosto che ad accogliere, è una delle tante provocazioni del pensiero divergente. Per ospitare, infatti, è necessario privarsi di qualcosa facendo spazio all’ospite inatteso. Fino a quando si rimane troppo pieni, perché presi dal rispondere ai propri bisogni, non ci sarà posto per l’altro e si resterà affaccendati nelle tante occupazioni del quotidiano. Eppure il fare, privo di relazione, manca di significato e svuota interiormente lasciando un continuo senso di inappagamento. Le opere volte a colmare la propria brama di protagonismo finiscono con lo schiavizzare l’essere umano imprigionandolo in una serie di ansie per difendere ciò che dovrebbe procurare identità.

La Comunità di Danisinni si è voluta sottrarre dalla nomea sociale che attribuisce etichette di marginalizzazione alle periferie della nostra Città. È, questa, una lettura cristallizzata e perbenista che non lascia spazio al cambiamento, forse perché ritenuto scomodo! La precarietà esistenziale, la complessità dei luoghi e di quanti li abitano, non può essere definita secondo il pregiudizio che discrimina interi quartieri rimuovendoli dalla progettazione politica locale. Fare emergere una visione divergente è stata la provocazione che ha mosso processi di rigenerazione volti alla riqualificazione degli spazi e alla espressione creativa della gente. La rigenerazione urbana, infatti, non è semplicemente legata al recupero dei luoghi ma è volta ad attivare un processo che restituisce umanità ai territori attraverso l’implementazione della vita culturale, del lavoro, degli spazi per coltivare relazioni sociali.

Leggere, dunque, è ragionare in termini processuali spezzando il giogo di una progettualità ad intermittenza tipica delle politiche degli ultimi decenni. L’umano non è risolvibile in un istante ma è necessaria la continuità spazio-temporale capace di formulare narrazioni biografiche personali e comunitarie inedite e portatrici di trasformazione. Ecco, leggere è dare continuità, non fermarsi al libro concluso ma mantenere apertura verso il nuovo lasciandosi provocare dalla storia che si affaccia nel quotidiano. Le favole di un tempo cominciavano con “C’era una volta…” e quelle contemporanee con “Accadrà una nuova era che vedrà…”; per noi leggere significa rimanere sul pezzo di ogni giorno grati per la storia passata e capaci di visione che matura attraverso l’ascolto, perché un libro si legge una pagina alla volta.