Quello della gratitudine è un lessico inusuale per i nostri giorni in cui la spinta narcisistica volta al culto di sé pare non lasciare spazio alla riconoscenza. Tutto è dovuto e preteso o, comunque, ottenibile ad un prezzo. Inoltre la gratitudine presuppone l’ammissione della propria fragilità e il bisogno dell’altro e cioè il non potere bastare a se stessi. Questo è inconcepibile per “l’uomo che non deve chiedere mai”.
Secondo la logica del potere molti credono che ogni persona abbia un prezzo e cercano di trovare il punto di vulnerabilità capace di corrompere il prossimo. È la prospettiva di un certo tipo di politica, delle lobby così come della criminalità organizzata. Tale mentalità genera competizione, invidia, conquista del posto, mire che si oppongono alla gratitudine, all’accoglienza gratuita e allo stupore per il dono ricevuto.
Il Vangelo provoca tale concezione, inverte le prospettive usuali, denuncia un assetto utilitaristico e povero di stare nelle questioni dell’esistenza e rivoluziona il modo di procedere per arrivare all’autentica felicità.
Nella scena di questa domenica (Lc 17, 11-19) troviamo dieci lebbrosi che vanno incontro a Gesù, lo stato di necessità li equipara, non c’è ordine di importanza o disuguaglianza: l’unico criterio è il bisogno di misericordia che hanno, il bisogno di essere accolti e, di conseguenza, guariti.
Per la Legge, infatti, la guarigione legittimava l’accoglienza mentre l’esclusione denunciava il loro essere “impuri”.
Chiedono a Gesù di avere pietà di loro, è la richiesta dell’amore, hanno fede nel Maestro e nella sua capacità di lenire anche le ferite più lancinanti e la lebbra era la più grave in quanto procurava alla persona oltre che la sofferenza fisica anche l’esclusione dalla Comunità e dal culto a Dio.
Il lebbroso doveva essere allontanato e al passaggio di qualcuno doveva denunciare la sua presenza per essere, così, evitato. Dopo la diagnosi verificata dal sacerdote il lebbroso veniva condotto fuori, come se fosse un rito funebre che ne segnava l’esclusione dalla vita!
La relazione con Dio ha una immediata portata sociale per Israele ma nel tempo tutto era divenuto un affare di potere che soggiogava i piccoli e perseguitava quanti desideravano custodire l’anima della legge, fondata sulla cura che il Signore aveva per il suo popolo.
Gesù entra nella questione e rivela il volto del Padre attraverso la Sua opera che muove dalla misericordia. Lui sta compiendo un itinerario che va dalla Samaria a Gerusalemme, il cuore della Giudea e pertanto della religiosità d’Israele. Va dalla periferia al centro come ad indicare un modus operandi che non parte dall’altezza del potere o dell’essere “giusti” ma dalla coabitazione, dal compromettersi con il prossimo, dal sentirsi bisognosi di cammino al pari di quanti sono più provati per scoprire, insieme, il centro dell’esistenza umana.
Loro vanno incontro a Gesù e gli consegnano il loro grido sapendo che può fare qualcosa, e Lui li guarda e li invita ad andare a presentarsi ai sacerdoti, proprio perchè i sacerdoti erano preposti a riconoscere l’avvenuta guarigione. Lo sguado del Maestro è sempre rivolto alla vita anche se ha dinanzi dei lebbrosi, Lui è venuto a portare la vita per sempre e loro sono chiamati a riconoscere questo dono. I dieci sono invitati a fidarsi della Parola e a mettersi in cammino pur essendo ancora visibilmente lebbrosi, la guarigione avverrà per strada perchè si saranno affidati all’indicazione del Maestro.
Così è dell’esperienza di fede in cui il cristiano è chiamato a mettersi in cammino fidandosi della promessa di Dio, la garanzia è data dalla fiducia nella Sua Parola. La vita di ciascuno è tragitto da vivere come discepoli, non è possibile attendere di essere pronti o, ancora, perfetti prima di mettersi in cammino ma è lungo la strada che matura la fede e cioè la sempre maggiore appartenenza al Signore.
A tal proposito nella liturgia di oggi troviamo anche l’episodio di Naaman (2Re 5, 14-17) un comandante dell’esercito di Aram che aveva contratto la lebbra. Un uomo di potere, dunque, che a motivo della malattia si affiderà al consiglio di una schiava e alla indicazione, apparentemente insensata, del profeta Eliseo. Faticherà nel riconsocere che il dono fattogli da Eliseo è totalmente gratuito e cercherà a tutti i costi di “pagare” la guarigione ottenuta. Solo dopo il rifiuto di ogni sorta di retribuzione si aprirà alla fede e al volere rendere culto solo a Dio. Lui guarirà solo quando avrà abbassato tutte le sue difese e si sarà fidato della parola pronunciata dal profeta.
Nella pagina del Vangelo troviamo uno dei dieci, un samaritano, tornare indietro dopo essersi accorto dell’avvenuta guarigione. Gli altri proseguono per osservare la legge che li avrebbe legittimati “puri” e, pertanto, accolti nella società e nella pratica cultuale. Da lì in poi avrebbero avuto un pass per essere riconosciuti ma non è dato sapere con quale apertura nei confronti di Dio.
Solo il samaritano coglie la grandezza del dono ricevuto da Gesù e cerca la relazione con Lui perchè desidera diventare suo discepolo. Il ritornare, dunque, esprime il desiderio di custodire l’intimità della fede e cioè del legame che alimenta la propria esistenza, Cristo diventa punto di partenza e di arrivo, dono ricevuto e meta del proprio cammino.
Interessante notare come il samaritano contravviene alle prescrizioni della religione d’Israele, norme che avevano fatto del popolo un esecutore di pratiche senza alcuna relazione con Dio. L’osservanza della Legge era diventata la garanzia per sentirsi giusti e al di sopra degli altri, la religione era così assunta a centro di potere perdendo la riconoscenza verso il Signore, fino a generare fasce di emarginazione ed esclusione sociale sempre più grave. È la logica di potere di ogni tempo che cerca di sedare il legame col Cielo riducendo la fede ad una pratica formale che ha poco a che fare con la gratuità e la gratitudine per il dono di Dio.
Si pensi alle tante periferie del mondo in cui troviamo interi popoli emarginati e lesi nei diritti più elementari: gli indios dell’Amazzonia che rischiano il genocidio per le mire economiche di Bolsonaro, l’etnia curda nuovamente aggredita dalla Turchia o gli immigrati sparsi nelle campagne italiane e schiavizzati dal caporalato. Ovunque troviamo esclusi che abbisognano della Parola che può restituire dignità e fiducia nella paternità di Dio. Anche la Comunità di Danisinni, una delle tante periferie di Palermo, sta percorrendo questo pellegrinaggio di fiducia sulla terra pur continuando a subire la violazione dei diritti basilari come ad esempio la privazione dell’asilo nido per i più piccoli. Tutte condizioni di prova estrema ma che non hanno il potere di spegnere la capacità di volgersi verso l’Alto per elevare il proprio grido.
Il samaritano è grato perchè sa che tutto è dono di Dio, la sua guarigione è merito del Cielo e non rivendica nulla per sé ma si consegna totalmente a Gesù. Lui solo si apre alla fede, mentre gli altri nove usano la misericordia ricevuta per accrescere il loro valore e dirsi “perfetti”.
La gratitudine apre alla relazione con Padre, è grato chi si scopre figlio e proprio per questo amato.
La fede si esprime nella gratitutudine per l’amato e diventa . Tale fu il gesto della donna che si sperimentava amata e che un giorno si recò in casa di Simone il lebbroso e dopo avere rotto un vasetto di alabastro versò il nardo genuino di grande valore sul capo di Gesù. Lo spreco ed il consumarsi sino alla fine, così come in quella scena evangelica, esprimono la gratititudine del discepolo ed il compromettersi senza misura.
È il gesto rivelativo dell’amore che Dio ha per l’umanità, Gesù si consuma sino alla croce per consegnare in pienezza il suo amore per ciascuno e rivelare il suo legame con il Padre. Così aprirà alla relazione profonda con il donatore, il Padre, permettendo ad ogni essere umano di riconoscersi figlio.
A ciascuno, nessuno escluso, è dato di scoprire l’amore che viene dal Cielo. Quel che cambia è la risposta e questa dipende dalle priorità che si intendono nutrire per dare senso alla propria esistenza. C’è chi fa dell’amore un possesso e chi, invece, lo accresce nella condivisione. Nel mentre ogni domenica noi di Danisinni continuiamo a celebrare Eucarestia, il rendimento di grazie che ci fa riconoscere tutti figli sotto lo stesso Cielo.